Esme
Edward
si riprese lentamente e dopo qualche giorno la febbre passò
e riuscì
a mettersi in piedi.
Le
feste passarono e la scuola ricominciò insieme alla nostra
vita.
Non
parlammo più di quello che era successo, cercando di
dimenticare.
Ma
era difficile per noi e probabilmente quasi impossibile per Edward.
Malgrado
cercasse di comportarsi normalmente era rimasto inquieto e
spaventato e la conseguenza fu che se possibile si chiuse ancora di
più nei confronti degli estranei.
Dai
discorsi di Emmett venimmo a sapere che rifiutava qualsiasi ragazza
provasse ad avvicinarsi o a penetrare la sua corazza, malgrado fosse
il ragazzo più corteggiato della scuola per la sua bellezza
e
intelligenza.
Le
mandava via e le rifiutava con una determinazione preoccupante ma
anche con quelli che avrebbero dovuto essere i suoi amici il discorso
non cambiava.
Allontanava
tutti da se, maschi, femmine, adulti o ragazzi indistintamente.
E
sorprendentemente le cose non andarono meglio neanche con Charlie.
Malgrado
si fosse fidato nel bosco e fosse stata la causa di una sua brutta
influenza, Edward continuava a guardarlo con sospetto e a girarci al
largo, anche più di prima.
“Mi
spiace Charlie” gli dissi un giorno dopo che Edward si era
allontanato bruscamente da lui che aveva provato a fargli una carezza
sulla testa.
Lo
vidi scuotere la testa e sorridermi “Non temere Esme. Non
c'è l'ha
con me.” mi rispose.
Lo
guardai storto, lo trattava talmente male che se ce l'avesse avuta
con lui cosa avrebbe dovuto fare?
Charlie
ridacchiò tirandosi il baffo come faceva sempre quando era
pensieroso “Vedi credo che abbia paura di fidarsi, non di
Charlie
ma del poliziotto che sono. Sa che un gesto o una parola per me
può
voler dire scoprire il suo segreto” mi disse amaro.
“Il
suo segreto?” gli chiesi stupita.
“Si.
Quello che sta nascondendo dentro di se a tutti. Quello che ogni
tanto si risveglia torturandolo nel cuore della notte, che gli
procura gli attacchi di panico e gli impedisce di fidarsi degli
altri.” mi rispose guardando Edward che seduto sul divano
stava
studiando chimica.
Il
mio bambino alzò lo sguardo e i suoi occhi verdi si posarono
in
quelli di Charlie.
Fu
come se si sfidassero, nessuno dei due distoglieva lo sguardo
dall'altro finché Edward si alzò di
scattò, sbatté il libro sul
divano e scappò in camera.
Un
sorriso amareggiato apparve sulle labbra di Charlie “E lui
sa, che
io so” mi disse andando a raggiungere Carlisle che stava
versando
un caffè per entrambi.
Arrivò
finalmente Maggio con le sue giornate più lunghe e
più calde. Il
sole brillava nel cielo disegnando ombre sul giardino dove i nostri
ragazzi stavano giocando a pallavolo.
Carlisle
invece era andato alla riserva, a fare il suo solito giro di visite.
Io
in casa stavo finendo di impastare una torta per la merenda quando
suonò il telefono.
Avevo
le mani sporche così mi affacciai alla finestra e chiesi se
potevano
rispondere loro.
Fu
Emmett a prendere la comunicazione e poi lo vidi venire verso di me.
“Vogliono
te mamma. Non so chi sia” mi disse porgendomi il portatile.
“Un
attimo gridai nella cornetta” mentre mi affrettavo a pulirmi
le
mani.
“Buongiorno
mi scusi” dissi cordiale
“La
Signora Esme Cullen?” mi sentii chiedere da una voce forte
dall'accento europeo.
“Si
sono io” dissi incuriosita
“Buongiorno
signora. Non so come dirglielo ma dovrebbe venire nella sua
Ambasciata a Parigi. Vede... sua sorella e suo cognato sono morti in
un incidente d'auto” disse.
Silenzio
Non
riuscivo a capire le sue parole, a dare un senso logico alla sua
frase.
“Signora
Esme. Mi spiace. Ma dovrebbe venire a Parigi per il riconoscimento
dei corpi e per dare il consenso alla sepoltura. Sua sorella
è
morta.” disse dolcemente quella voce.
Non
potevo crederci, non riuscivo a crederci. Avremmo dovuto andare da
mia sorella a Luglio. Finalmente avevamo prenotato i biglietti per
l'aereo. Volevo conoscere i miei nipoti e presentargli i miei
figli... e adesso?? Non era troppo tardi.
“Non
è possibile” dissi con un singulto.
“Ascolti
la stanno aspettando alla sua ambasciata nell'ufficio distaccato di
Seattle. Li le spiegheranno tutto e le daranno tutte le informazioni
e l'aiuto possibile.” continuò professionale.
“Mi spiace
averglielo dovuto dire così, ma non potevamo fare
diversamente.
L'aspettano domani mattina. A presto Signora Esme” disse
“Grazie”
balbettai poggiando il telefono.
Una
risata mi arrivò dal giardino.
Mi
affacciai e vidi Alice seduta per terra con l'aria imbronciata mentre i
due fratelli ridevano a crepapelle.
Mia
sorella, mio cognato...poveri bambini pensai. Poi un pensiero
improvviso mi colpì che ne era stato di loro?? Quell'uomo
non mi
aveva detto nulla.
Mi
misi le mani sulla faccia e scoppiai a piangere. Avevo solo lei al
mondo a parte Carlisle e i miei bambini.
Mi
asciugai le lacrime con il grembiule e telefonai a Carlisle sul
cellulare “Puoi prendere ferie? Abbiamo un viaggio da
fare...”
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