martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 47 Una brutta notizia

Esme

Edward si riprese lentamente e dopo qualche giorno la febbre passò e riuscì a mettersi in piedi.
Le feste passarono e la scuola ricominciò insieme alla nostra vita.

Non parlammo più di quello che era successo, cercando di dimenticare.
Ma era difficile per noi e probabilmente quasi impossibile per Edward.
Malgrado cercasse di comportarsi normalmente era rimasto inquieto e spaventato e la conseguenza fu che se possibile si chiuse ancora di più nei confronti degli estranei.
Dai discorsi di Emmett venimmo a sapere che rifiutava qualsiasi ragazza provasse ad avvicinarsi o a penetrare la sua corazza, malgrado fosse il ragazzo più corteggiato della scuola per la sua bellezza e intelligenza.
Le mandava via e le rifiutava con una determinazione preoccupante ma anche con quelli che avrebbero dovuto essere i suoi amici il discorso non cambiava.
Allontanava tutti da se, maschi, femmine, adulti o ragazzi indistintamente.
E sorprendentemente le cose non andarono meglio neanche con Charlie.
Malgrado si fosse fidato nel bosco e fosse stata la causa di una sua brutta influenza, Edward continuava a guardarlo con sospetto e a girarci al largo, anche più di prima.
Mi spiace Charlie” gli dissi un giorno dopo che Edward si era allontanato bruscamente da lui che aveva provato a fargli una carezza sulla testa.
Lo vidi scuotere la testa e sorridermi “Non temere Esme. Non c'è l'ha con me.” mi rispose.
Lo guardai storto, lo trattava talmente male che se ce l'avesse avuta con lui cosa avrebbe dovuto fare?
Charlie ridacchiò tirandosi il baffo come faceva sempre quando era pensieroso “Vedi credo che abbia paura di fidarsi, non di Charlie ma del poliziotto che sono. Sa che un gesto o una parola per me può voler dire scoprire il suo segreto” mi disse amaro.
Il suo segreto?” gli chiesi stupita.
Si. Quello che sta nascondendo dentro di se a tutti. Quello che ogni tanto si risveglia torturandolo nel cuore della notte, che gli procura gli attacchi di panico e gli impedisce di fidarsi degli altri.” mi rispose guardando Edward che seduto sul divano stava studiando chimica.
Il mio bambino alzò lo sguardo e i suoi occhi verdi si posarono in quelli di Charlie.
Fu come se si sfidassero, nessuno dei due distoglieva lo sguardo dall'altro finché Edward si alzò di scattò, sbatté il libro sul divano e scappò in camera.
Un sorriso amareggiato apparve sulle labbra di Charlie “E lui sa, che io so” mi disse andando a raggiungere Carlisle che stava versando un caffè per entrambi.


Arrivò finalmente Maggio con le sue giornate più lunghe e più calde. Il sole brillava nel cielo disegnando ombre sul giardino dove i nostri ragazzi stavano giocando a pallavolo.
Carlisle invece era andato alla riserva, a fare il suo solito giro di visite.
Io in casa stavo finendo di impastare una torta per la merenda quando suonò il telefono.
Avevo le mani sporche così mi affacciai alla finestra e chiesi se potevano rispondere loro.
Fu Emmett a prendere la comunicazione e poi lo vidi venire verso di me.
Vogliono te mamma. Non so chi sia” mi disse porgendomi il portatile.
Un attimo gridai nella cornetta” mentre mi affrettavo a pulirmi le mani.
Buongiorno mi scusi” dissi cordiale
La Signora Esme Cullen?” mi sentii chiedere da una voce forte dall'accento europeo.
Si sono io” dissi incuriosita
Buongiorno signora. Non so come dirglielo ma dovrebbe venire nella sua Ambasciata a Parigi. Vede... sua sorella e suo cognato sono morti in un incidente d'auto” disse.
Silenzio
Non riuscivo a capire le sue parole, a dare un senso logico alla sua frase.
Signora Esme. Mi spiace. Ma dovrebbe venire a Parigi per il riconoscimento dei corpi e per dare il consenso alla sepoltura. Sua sorella è morta.” disse dolcemente quella voce.
Non potevo crederci, non riuscivo a crederci. Avremmo dovuto andare da mia sorella a Luglio. Finalmente avevamo prenotato i biglietti per l'aereo. Volevo conoscere i miei nipoti e presentargli i miei figli... e adesso?? Non era troppo tardi.
Non è possibile” dissi con un singulto.
Ascolti la stanno aspettando alla sua ambasciata nell'ufficio distaccato di Seattle. Li le spiegheranno tutto e le daranno tutte le informazioni e l'aiuto possibile.” continuò professionale. “Mi spiace averglielo dovuto dire così, ma non potevamo fare diversamente. L'aspettano domani mattina. A presto Signora Esme” disse
Grazie” balbettai poggiando il telefono.
Una risata mi arrivò dal giardino.
Mi affacciai e vidi Alice seduta per terra con l'aria imbronciata mentre i due fratelli ridevano a crepapelle.
Mia sorella, mio cognato...poveri bambini pensai. Poi un pensiero improvviso mi colpì che ne era stato di loro?? Quell'uomo non mi aveva detto nulla.
Mi misi le mani sulla faccia e scoppiai a piangere. Avevo solo lei al mondo a parte Carlisle e i miei bambini.
Mi asciugai le lacrime con il grembiule e telefonai a Carlisle sul cellulare “Puoi prendere ferie? Abbiamo un viaggio da fare...”

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