martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 25 Un incontro inutile

Carlisle


Ero andato dal mio amico avvocato la mattina dopo.
Gli avevo spiegato tutto e lo avevo pregato di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Mi aveva, ovviamente, promesso che avrebbe fatto tutto il possibile, mi aveva detto che probabilmente avremmo vinto la causa, che i gemelli sarebbero tornati a casa, ma mi aveva anche detto che ci sarebbero voluti almeno un paio d'anni se tutto andava bene.
Mi ero sentito morire, non tanto per il dolore che provavamo ma per quello che, ero sicuro, stavano provando i miei gemelli.
La paura dell'abbandono era dietro l'angolo ed io non volevo che si abbandonassero ad essa.
La nostra era una lotta non contro la certezza di riaverli a casa, a sentire il mio amico, ma contro il tempo che, sapevo, poteva causare danni irreparabili.

I giorni passarono lenti e pigri, io tornai a lavorare ma la situazione peggiorava di ora in ora e non solo per loro.
Il dolore mi aveva scavato una grotta profonda nel cuore, lavoravo attento e preciso come sempre, conscio che un mio errore avrebbe causato dolore ad altri, ma soffrivo.
Ogni qualvolta vedevo un bambino in braccio alla mamma mi veniva in mente Edward avvinghiato ad Esme, ogniqualvolta vedevo un papà tenere un bimbo per mano pensavo a quando era scappato sotto il letto.
Ogni bambina sorridente mi ricordava Alice, le sue risate il suo sbattere gli occhioni per ottenere quello che voleva, e in ogni negozio di giocattoli la vista di un peluche apriva una fitta al cuore.
Ma non ero l'unico a stare male.
Esme non aveva più sorriso. Faceva tutto come prima, ma non sorrideva.
Sapevo che come me si era calata una maschera sul volto, ma la notte la sentivo singhiozzare nel buio inerme e impotente di fronte a quella situazione.
E il nostro dolore era ampliato da quello di Emmett. Era diventato insicuro e ogni volta che il campanello suonava lo vedevo sussultare spaventato mentre non mollava mai neppure per un istante Tigro.
Ci dormiva, ci mangiava, lo portava sempre con se.
Quando faceva la doccia, prima di entrare, lo posava sulla mensola del bagno “Non aver paura Tigro. Non ti posso mettere sotto l'acqua, ma arrivo subito” gli diceva serio. Poi quando usciva, ancora avvolto nell'asciugamano, se lo stringeva a se teneramente come fosse stato vivo “Visto sono tornato, ho fatto presto.” lo rassicurava baciandolo fra le morbide orecchie.

Ci avevano distrutto e ogni mattina passavo dal mio amico per aver notizie e ogni pomeriggio gli telefonavo almeno due volte. Avevo fretta, tanta fretta di riabbracciarli.
Non so nulla Carlisle, non ci sono novità è troppo presto. Ci vuole tempo” mi diceva paziente e comprensivo.
Ma non avevamo tempo.
Perché se noi stavamo male per quell'immobilità nel vedere i giorni scivolare via pigri ero certo che loro stessero perdendo la speranza di rivederci.

Anche Charlie veniva a trovarci tutte le sere.
Carlisle, Esme. Li rivedrete, andrà tutto bene. Presto torneranno a casa, il tribunale li affiderà nuovamente a voi.” cercava di confortarci ma sapeva di mentire, glielo leggevo negli occhi. Lui era fin troppo cosciente delle lentezze burocratiche con cui si picchiava ogni giorno per il suo lavoro.

Erano passati dieci giorni, dieci lunghissimi e tristissimi giorni, senza avere saputo nulla, senza che una speranza illuminasse il buio del cuore, quando preso da un impulso irrefrenabile andai all'orfanotrofio.
Volevo vederli, volevo salutarli. Volevo assicurarmi che stessero bene, che non perdessero le speranze. Loro dovevano avere la conferma che ci stavamo battendo per loro, che non li avevamo abbandonati là.
E poi non ce la facevo più a non sapere, a non avere loro notizie.
Stavo impazzendo, tutti noi stavamo lentamente impazzendo.
Buongiorno signor Cullen” mi disse la Direttrice facendomi accomodare nel suo solito ufficio “In cosa posso esserle utile?” mi chiese cordiale con un sorriso tirato come se non immaginasse il perché io fossi lì. Ma ero sicuro che lo sapesse, glielo leggevo negli occhi, malgrado fingesse il contrario.
Voglio vedere i miei gemelli.” gli dissi senza mezzi termini, senza girare intorno al problema, senza perdere tempo in futili convenevoli.
La vidi sospirare affranta.
Non è possibile. Mi spiace” mi rispose cordiale con il volto triste.
Ascolti ho bisogno di vederli, ho bisogno di sapere che stanno bene” cercai di spiegarle.
La vidi scuotere la testa.
Mi spiace è contro il regolamento” disse irremovibile.
Perché?” sussurrai senza forze.
Non pensa che sarebbe peggio?? Se non la vedono finiranno per rassegnarsi. Così gli creerebbe solo delle false illusioni facendoli soffrire ancora di più al momento del distacco e anche lei soffrirebbe di più” mi spiegò comprensiva.
Al diavolo! Come se non avessero già sofferto a causa vostra. Edward ha parlato, loro stavano bene con noi” gli risposi esasperato alzando la voce mio malgrado.
Lei sospirò comprensiva “Si, forse ha ragione, ma adesso devono stare qua. Questo è ciò che ha stabilito la legge.” mormorò affranta.
La guardai e capii, capii che lei la pensava come me, che sapeva di aver fatto loro del male ma evidentemente aveva le mani legate.
Lei …” continuai ma m'interruppe subito.
Il Tribunale ha deciso. Non voglio fare del male ulteriore ai bambini. La consiglio di andarsene e non ritornare più. ” mi disse con la voce dura evitando il mio sguardo “per il bene di tutti” aggiunse poi in un sussurro.
Mi dica almeno come stanno” la implorai.
Lei mi sorrise addolorata “Non voglio mentirle. Vada a casa, la prego. Non mi costringa a darle false illusioni” sussurrò.
Mi sentii mancare. Non me l'aveva detto ma era come se lo avesse fatto.
Le mie paure si erano concretizzate. I gemelli stavano soffrendo per la repentina separazione.
Mi alzai e mi avvicinai alla porta desolato e sconfortato. Purtroppo aveva ragione. Se non li avessi potuti portare a casa era meglio che non mi vedessero, che non si facessero false illusioni.
Poi colpito da uno strano impulso mi fermai “Le chiedo solo un favore. Se vede Edward gli dica che Tigro sta bene, che ci stiamo prendendo cura di lui” le chiesi.
La vidi annuire comprensiva “Andrò a cercarlo e gli riferirò il messaggio... ma non gli dirò che è stato lei a darmelo”
Non protestai, aveva ragione. Dovevano imparare a dimenticarsi di noi... almeno fino a quando non saremmo riusciti a sbloccare la situazione.

E uscito da quel posto che odiavo con tutto il mio cuore mi diressi dal mio avvocato.
Doveva esserci un modo... avevo un titolo nobiliare, avevo soldi a palate volendo, e lui doveva trovare una soluzione, anche a costo di comprare l'intero orfanotrofio.

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