Carlisle
Non
persi tempo. Non c'era tempo da perdere. Edward era l'ombra di se
stesso. Era dimagrito tantissimo e aveva delle scure occhiaie intorno
agli occhi infossati negli zigomi diventati sporgenti.
“Portatemi
degli omogenizzati. Quelli che si danno ai neonati” chiesi
mentre
afferravo un bicchiere e alzandolo glielo appoggiavo alle labbra.
“Edward
devi bere. Sei disidratato” gli dissi dolcemente cercando i
svegliarlo con le carezze.
“Non
gli dia l'acqua, la vomita” mi fermò quella che
doveva essere un
infermiera.
Sbuffai scocciato.
Quella donna era una perfetta imbecille. Possibile che in
quel posto non esistesse la parola professionalità?? Che
razza
d'infermiera era per non rendersi conto che arrendersi era la cosa
peggiore da fare? Ero irritato per tutta la situazione ma
soprattutto preoccupato per il mio bambino dal momento che sembrava
troppo indebolito per riuscire a bere.
Ma
non mi persi d'animo. Non ero un esperto del settore ma non ci voleva
molto a capire come poterlo aiutare.
“Datemi
un cucchiaio” chiesi con un tono che assomigliava
più a un ordine
quando vidi che usando il bicchiere non riuscivo a fargli ingoiare
l'acqua come speravo.
“Antoniette,
fai come dice lui è un medico. Sa quello che fa.”
intervenne la
Psicologa che in silenzio osservava da un angolo della stanza.
L'infermiera
sbuffando mi porse il cucchiaio guardandomi come se fossi un pazzo.
Forse temeva di dover pulire il letto se avesse rigettato l'acqua ma
era un rischio che bisognava correre.
Non
le dissi nulla troppo concentrato su quello che dovevo fare e
soprattutto certo che se avessi aperto la bocca non sarei riuscito
dal trattenermi dall'urlare la mia rabbia rischiando di spaventare
Edward.
Così
cercai di non pensare all'accaduto ma di concentrarmi sul mio
bambino. Riempii il cucchiaio d'acqua fresca, alzai la testa ad
Edward e glielo appoggiai alle labbra spaccate dall'arsura.
“Edward
apri la bocca, devi sforzarti d'ingoiare l'acqua, coraggio
piccino”
gli dissi a bassa voce e dolcemente “io sono qua ad aiutarti
e non
mi allontano da te” aggiunsi per infondergli sicurezza.
Con
gli occhi chiusi lo vidi aprire appena le labbra ed io vi feci
scivolare l'acqua del cucchiaio.
Ripetei
l'operazione per tre volte poi lo adagiai sui cuscini.
“Bere
così poco non servirà a niente” sentii
brontolare l'infermiera.
“Stia
zitta e vada a cercare l'omogenizzato che le ho chiesto” le
risposi
in malo modo esasperato.
Poi
riportai la mia attenzione su Edward tenendogli la mano e
parlandogli dolcemente per incoraggiarlo e confortarlo facendogli
sentire la mia presenza. Lo sentì sussultare ma non
rigettò
l'acqua. Era riuscito a trattenerla dentro di se.
“Bravo
Edward. Così. Devi cercare di non rimettere” lo
incitai.
“Se
ce la fai in poco tempo sarai in grado di alzarti e ti porteremo a
casa. Tornerai a casa con noi e con Alice. Ma devi
combattere...”
Non
mi rispose ma ero certo che avesse sentito perché mi sentii
stringere appena la mano.
Quando
arrivò l'omogenizzato mi feci dare un cucchiaino e come per
l'acqua
gli feci ingoiare tre bocconi piccolini poi lo rimisi giù
sistemandogli i cuscini in modo che stesse più seduto ma con
lo
stomaco teso.
Ancora
una volta rimasi vicino a lui confortandolo mentre combatteva contro la
nausea e il suo corpo, e ancora una volta vinse.
Era
piccolo ma aveva un coraggio enorme pensai orgoglioso del mio bambino
che aveva vinto la sua battaglia contro quell'incompetente
costringendola a chiamarci e che adesso stava lottando contro se
stesso per riprendersi la vita che gli era stata sottratta.
Mentre
riposava chiamai con il cellulare Esme dicendole di affidare Emmett
alla signora Luisa e di correre da me il più velocemente
possibile.
Sapevo
che la nausea di Edward era di origini nervose e con pazienza ero
sicuro che saremmo riusciti a farlo riprendere. Speravo infatti che
la nostra vicinanza e la promessa di tornare a vivere con noi e con
Alice gli avrebbe dato la forza di lottare. Purtroppo dipendeva da
lui, solo lui poteva decidere di venir fuori da quel tunnel nel quale
si era cacciato.
Ma avevo bisogno
di aiuto, dovevamo pensare anche
ad Alice. Anche lei non stava bene, anche lei aveva bisogno di noi e
del nostro amore.
Esme
Quando
arrivò la telefonata mi sentii morire. La voce di Carlisle
era
nervosa e tesa ma soprattutto piena d'urgenza mentre mi spiegava che
i gemelli non stavano bene e avevano bisogno di noi. Spiegai
velocemente ad Emmett, senza entrare nei particolari, che andavo da
loro perché erano malati e lo accompagnai dalla mia vicina
di casa
che saputo l'accaduto, scoppiò a piangere dalla
felicità. Anche lei
era in ansia per loro e il sapere che sarebbero tornati a vivere con
noi era una notizia troppo bella e insperata per riuscire a trattenersi.
“Tornerai
presto mamma?” mi chiese Emmett sulla soglia di casa della
signora
Luisa che si asciugava le lacrime con un fazzoletto.
“Si
tesoro. Io e papà torneremo presto e con noi ci saranno i
tuoi
fratellini” gli dissi con una carezza sui suoi riccioli neri
sperando con tutto il mio cuore di avere ragione.
Lui
annui con un enorme sorriso sulle labbra, si chinò a baciare
Tigro
in mezzo alle orecchie pelose e me lo porse serio dicendomi
“Portalo
da Edward. Tigro gli sarà mancato tanto, vedrai che
sarà felice di
riabbracciarlo.”
Feci
fatica a non scoppiare a piangere davanti al mio orsacchiotto che
ancora una volta aveva dimostrato quanto grande e dolce fosse il
cuore. Gli diedi un bacio, gli raccomandai di fare il bravo, strinsi
la mano alla mia vicina che adoravo ogni giorno di più e mi
girai a
prendere la macchina con il cuore che batteva a mille ancora
emozionata dal tono e dalle parole di Emmett.
Salita
in macchina mi precipitai ansiosa e preoccupata all'orfanotrofio.
Lì
mi accolse la Responsabile che con un sorriso triste mi
abbracciò
felice di rivedermi, poi mi accompagnò subito
nell'infermeria e
quando vidi il mio bambino mi sentii morire.
Carlisle mi aveva
spiegato tutto per telefono, ma vederlo lì pallido, magro e
sdraiato in un letto con la flebo attaccata mi strinse il cuore.
“Edward”
lo chiamai con le lacrime di commozione che mi colavano dal viso.
Lui
sbatté diverse volte gli occhi poi con uno sforzo
lì aprii e mi
sorrise felice “Mamma. Ci sei anche tu” disse
debolmente
inumidendosi le labbra riarse con la punta della lingua e cercando
di allungare la mano per farmi una carezza sul volto.
“Si
amore sono qui. E non ce ne andremo senza di te. Presto torneremo a
casa tutti assieme, vedrai” gli dissi. Poi presi la sua mano
che
aveva con fatica allungato e la portai alle mie labbra posandogli un
bacino sul dorso mentre prendevo Tigro e glielo mettevo fra le
braccia. Mi sorrise e sorrise al suo pupazzo stringendoselo al petto
teneramente con gli occhi che gli brillavano di gioia.
“Emmett
si è preso cura di lui. E adesso è a casa che ti
aspetta. Non vede
l'ora di riabbracciare i suoi fratellini” gli dissi. Volevo
che
capisse quanto ci era mancato, quanto volevamo che tornasse a casa
con noi velocemente.
“Grazie
mamma. Voglio tornare a casa, ma ho sonno e sono stanco. ”
mormorò
chiudendo gli occhi e abbracciandosi Tigro al petto teneramente.
Guardai
Carlisle che mi sorrise “E' debolissimo ma riesce a mangiare
piccole quantità. Ce la faremo Esme e li riporteremo a casa
presto.”
Lo
abbracciai commossa. Insieme tenendoci per mano, troppo emozionati
per parlare ancora, rimanemmo qualche minuto lì a vederlo
dormire.
Era agitato,
probabilmente aveva degli incubi perché parlottava nel
sonno.
“Povero
piccolo. Io resto con lui, voglio controllare che non rimetta quel
poco che ha mangiato. Vai tu da Alice? ”
“Certo.
Non vedo l'ora di abbracciarla. Speriamo che almeno lei stia un po'
meglio” gli risposi e con un sospiro rassegnato e triste
lasciai il
mio bambino con Carlisle che gli prese nuovamente la mano e
iniziò
a parlargli per calmarlo.
“Stai
tranquilla. Vedrai che adesso si tranquillizza. Ha solo bisogno di
sentirci vicini.” mi spiegò con un sospiro
facendogli una carezza
fra i capelli sudati.
E
con il cuore in gola e lo stomaco stretto per l'ansia mi avviai per i
corridoi accompagnata dalla Responsabile che mi stava aspettando
dietro alla porta consapevole che avrei voluto vedere la mia bambina
al più presto.
La
psicologa invece era sparita e mi auguravo di non rivederla mai
più.
Non sarei riuscita a trattenermi dallo strozzarla al pensiero di come
aveva ridotto il mio Edward.
Ma
come stava Alice? E con quella domanda e la paura per amica mi
addentrai in quei corridoi che adesso mi sembravano freddi e ostili.
Alice
aveva bisogno di me.
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