Esme
Non
so come avremmo fatto se non ci fosse stato Charlie.
Guardavo
Edward dormire. Sembrava sereno adesso, anche se ogni tanto sul viso
si dipingeva una smorfia e sobbalzava nel sonno.
Per
fortuna Carlisle era un medico ma nonostante questo presi la mano di
Edward e iniziai a piangere sommessamente.
Povero
piccolo. Non riuscivo a darmi pace, a immaginare cosa avesse passato.
I
segni sul suo corpo rivelavano una crudeltà immensa.
Alice
era stata fortunata ma lui...
Cercai
di non piangere, rischiavo di svegliarlo.
Così
mi feci forza. Dovevamo dimenticare quello che avevamo visto,
dovevamo fare finta di niente, in modo da fargli dimenticare
l'accaduto, da permettergli di vivere sereno.
Dopo
due ore e mezza ero ancora lì seduta per terra vicino al suo
letto
stringendogli la mano quando lo vidi sbattere gli occhi.
Erano
ancora rossi dal pianto.
“Ciao”
gli dissi dolcemente trattenendo il respiro.
Temevo
che avesse un altra crisi, invece lo vidi sorridermi timidamente.
“Mi
brucia la gola” disse piano con la voce rauca. Aveva urlato
troppo, pensai.
“Hai
preso un po' di freddo. Vedrai che adesso passa” gli dissi
dolcemente spostando un ciuffo ribelle che gli era scivolato sugli
occhi.
“Ho
male dappertutto” si lamentò piano.
“Lo
so piccino... passerà presto... vedrai che guarirai
prestissimo. Non
è successo nulla” gli mentii. Speravo non si
ricordasse
l'accaduto.
Lo
vidi stringere gli occhi concentrato, poi abbassarli e scrutare
sospettoso il pigiama mentre si metteva seduto sul letto.
“Chi
mi ha cambiato?” chiese turbato indicando la maglietta che
portava.
“Eri
fradicio. Lo abbiamo fatto io e Carlisle” gli dissi. Su
questo non
potevo mentire.
Lui
abbassò gli occhi mortificato, poi con un sospiro affranto
mi guardò
e passò una mano sulla mia guancia.
“Sei
graffiata. Sono stato io...vero?” mi chiese con gli occhi
tristi.
Stava
ricordando.
“Si.
Ma non l'hai fatto apposta. Cercavi solo di proteggerti” gli
dissi.
Stavolta era una mezza verità. Non volevo si sentisse in
colpa.
“Mi
spiace. Non volevo” disse e gli occhi si riempirono
nuovamente di
lacrime.
“Non
è successo nulla è tutto passato. Non
preoccuparti” risposi
immediatamente facendogli una carezza sulla guancia e asciugandogli
le lacrime che avevano iniziato a rigargli le guance.
“Se
mi avete cambiato... avrete visto...” disse ingoiando a vuoto
e
abbassando nuovamente lo sguardo come se avesse una colpa da
nascondere.
“Si.
Ma non c'è nulla di cui vergognarsi. Avresti potuto dircelo.
Non
significa nulla per noi.” risposi tirandogli su il mento con
un
dito e cercando i suoi occhi.
“Io
non sono come vorreste. Io non sono come Emmett ”
mormorò
scuotendo la testa e guardando in basso per evitare i miei occhi.
“Oh
Edward. Non dire così. Tu sei il bambino che abbiamo sempre
voluto.
Sei perfetto per noi. Quelle cicatrici non significano nulla, non
possono cambiare l'amore che abbiamo per te o quello che pensiamo di
te.” gli risposi sentendomi stringere il cuore in una morsa
gelida.
Come poteva pensare che quei segni sulla sua pelle lo rendessero
diverso dagli altri?
“Lui...
rideva mentre lo faceva” soffiò fuori con la voce
rotta.
Mi
sentii stringere il cuore... stava raccontando l'accaduto e vedevo il
terrore dipinto sul volto.
“E'
tutto finito Edward. Loro non torneranno mai più, lui non ti
toccherà più” gli dissi per confortarlo
“Sei al sicuro. Nessuno
ti farà più del male, nessuno riderà
più di te” aggiunsi per
cercare di tranquillizzarlo.
Alzo
gli occhi a guardarmi e mi sorrise timido ma dai suoi occhi capii che
non mi credeva. Era convinto che i suoi aguzzini lo avrebbero trovato
di nuovo.
“Noi
non permetteremo che nessuno ti faccia del male. E poi non sanno dove
sei, anche se ti cercassero non ti troveranno mai. E' cambiato
tutto, anche il tuo cognome. Sei al sicuro ormai.” gli dissi
per
cercare di confortalo.
“Si.
Ma ho paura lo stesso. ” mi rispose girando la tesa per
nascondere
le lacrime che erano riprese a scorrere.
Non
risposi, sapevo che le mie parole sarebbero state vane, così
mi
limitai ad abbracciarlo stretto al mio petto per fargli sentire
quanto lo amavo e che non era solo e che mai lo sarebbe stato.
Lui
pianse in silenzio per qualche minuto, poi pian piano lo sentii
rilassarsi fra le mie braccia. Rimase ancora qualche minuto a
prendersi le coccole e poi mi guardò con un mezzo sorriso
sforzato.
“Alice?
Dov'è?” mi chiese improvvisamente preoccupato per
la sorella.
“E'
con papà di sotto.” gli dissi senza aggiungere
altro.
“Posso
alzarmi? Vorrei andare da lei. Non voglio stia in pensiero per
me.”
mi sussurrò con gli occhi nuovamente lucidi.
Annui
sorridente e gli diedi la mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Se
te la senti è meglio. Così magari ti bevi anche
un po' di latte.
Hai saltato cena” mi ricordai.
Mi
aveva così preoccupato e scombussolato che il discorso cena
mi era
proprio passato di mente. Speravo che Carlisle e Charlie avessero
pensato ai ragazzi.
Quando
scendemmo, Alice che doveva appena essersi svegliata anche lei, gli
si fiondò tra le braccia strappandogli una smorfia di dolore.
Anche
Carlisle si era cambiato e dal disordine in cucina intuii che almeno
i ragazzi avevano cenato.
Nessuno
disse nulla, volevamo fare finta di niente per non metterlo a disagio
e così fra l'indifferenza assoluta lo portai in cucina e gli
scaldai
un po' di latte e biscotti.
Mangiò
pochissimo, poi ritornò in sala e si sistemò tra
le braccia di
Carlisle a guardare la televisione con Emmett.
Si
addormentò lì fra le braccia di suo padre e lui
lo portò in
braccio a letto.
Non
passarono neanche tre ore che lo sentimmo urlare.
Corsi
da lui e lo trovai rannicchiato nel letto. Gli occhi dilatati e
Tigro stretto al petto.
Rimasi
con lui fino a che non si calmò e si
riaddormentò. Ma quella non fu
l'ultima volta. Gli incubi lo tormentarono tutta la notte e alla fine
per permettergli di dormire qualche ora di seguito mi sedetti per
terra al suo fianco e gli tenni la mano.
All'alba Carlisle
mi diede il cambio e lo lasciammo dormire tutta la
mattina.
Nei
giorni seguenti facemmo tutti finta di niente e piano piano insieme
agli incubi svanì anche il ricordo di quella terribile
serata.
Ovviamente
non andammo da mia sorella, visto le numerose ferie che Carlisle
aveva già preso e quelle che probabilmente sarebbero servite
in
futuro e passammo Agosto in casa fra gite al parco, allo zoo, in
montagna, al fiume e shopping per accontentare Alice.
Fu
un periodo sereno, e sembrava che i fantasmi del passato avessero
abbandonato definitivamente i gemelli.
Ma
non immaginavamo che la serenità sarebbe stata interrotta
presto.
Era
pomeriggio tardi e Carlisle era appena rientrato dal lavoro quando
suonò la porta. Tranquillamente senza immaginare chi potesse
essere
andai ad aprire.
L'uomo
che aveva suonato era incredibilmente bello. Alto, muscoloso e biondo
assomigliava al mio Carlisle. Solo gli occhi invece di essere chiari
e limpidi come il mio amore erano marrone scuri come la terra appena
arata.
Essi
si posarono su di me scrutandomi attentamente come fossi un essere
inferiore.
Ricambiai
il suo sguardo chiaramente a disagio mentre con la voce impostata si
presentò. “Buongiorno mi chiamo James Cullen e
sono il cugino di
Carlisle. C'è in casa?” chiese allungando gli
occhi a cercare il
mio amore.
“Piacere”
dissi allungandogli la mano per cortesia. Quell'uomo non mi piaceva e
ancora meno il suo sguardo inquisitorio ma non volevo essere
maleducata.
Quando
entrò in sala iniziò a guardarsi intorno con
curiosità fino a che
i suoi occhi si posarono sui ragazzi intenti a giocare sul tavolo
della sala.
“Chi
è Edward?” chiese senza levare gli occhi da loro.
“E'
lui” rispose Carlisle scendendo dalle scale con il suo solito
sorriso cordiale “Che bello vederti James. E' una vita che
non ci
sentiamo” continuò allungando la mano per salutare
il cugino.
Lui
dopo aver lanciato una lunga occhiata incuriosita ad Edward
posò
gli occhi su Carlisle e per la prima volta lo vidi sorridere appena.
“E
così hai adottato tre marmocchi” disse lanciandomi
uno sguardo schifato e indagatore, come se fossi una bestia rara. Forse
per lui
la mia sterilità era un qualcosa che dovevo avere scritto in
fronte
come avvertimento per gli altri.
“A
quanto pare” ribatté il mio amore sorridendo
felice senza aver
notato il suo sguardo perplesso “Ti presento Edward, Alice ed
Emmett” l'indicò sorridendo orgoglioso dei suoi
tre figli.
“Ma
come ti sei permesso?? Hai passato ufficialmente a quel piccolo
trovatello il titolo di famiglia. I tuoi genitori si rivolterebbero
nella tomba se lo avessero saputo” la sua accusa inaspettata
e
repentina sibilata tra i denti per nascondere la rabbia a lungo
repressa, venne seguita da un attimo di silenzio imbarazzante.
Carlisle
aveva sgranato gli occhi sorpreso da quell'attacco ingiustificato.
Il
mio istinto mi spingeva a urlare di tutto a quel viscido verme
travestito da uomo ma prendendo fiato cercai di non fare scenate di
fronte ai ragazzi e lentamente li raggiunsi posando le braccia sui
gemelli per tranquillizzarli. Loro così come Emmett stavano
guardando allibiti quell'uomo che stava urlando in casa nostra contro
loro padre, cose per loro assurde e incomprensibili.
Non avevamo
raccontato nulla a nessuno di loro. Nessuno gli aveva detto
che loro padre era un nobile ed erano tutti troppo piccoli per capire
cosa avessimo fatto dal notaio per riportare a casa i gemelli
velocemente con le sue conseguenze legali. E poi non volevamo
riparlare di quel periodo, non volevamo turbarli tutti e tre
nuovamente. Con calma quando fossero stati grandi e in grado di
capire le motivazioni e le ripercussioni avremmo spiegato loro
l'accaduto e i problemi ereditari connessi.
Vidi
Carlisle stringere gli occhi e arricciare le labbra. “Non
credo
siano fatti tuoi” gli rispose gelido senza staccare gli occhi
dal
cugino.
“Certo
che sono fatti miei. Alla tua morte i miei figli avrebbero ereditato
il titolo di Conte se tu non avessi adottato dei trovatelli, ma
tu... tu l'hai passato addirittura a quel ragazzino” e la sua
voce
tremava di rabbia e indignazione. “Ti rendi conto? Lui Conte.
E ho
chiesto informazioni... lui è solo un orfanello di nessun
valore...
senza passato .”
Le
sue accuse risuonarono nel silenzio della casa e vidi Edward e Alice
scambiarsi uno sguardo stupito e spaventato.
“E
per di più andrebbe rinchiuso in un manicomio. Non
è normale... ho fatto fare delle ricerche su di lui e
risulta dalle perizie
psichiatriche la sua pazzia latente” quell'accusa
così ingiusta,
così palesemente cattiva fatta solo per ferire noi e il mio
bambino
mi fece salire la bile in bocca.
Non
era vero ciò che diceva. Edward non era pazzo. Quelle
perizie erano state fatta da quella
stupida di psicologa che non aveva capito nulla del mio ragazzo.
Stavo
già per aprire bocca e insultare quell'uomo pieno di se che
vidi
Carlisle prendere fiato e rispondergli.
La
sua voce era calma e misurata, ma nello stesso tempo fredda e decisa,
minacciosa e letale avrei potuto affermare tranquillamente
“James. Non sono fatti tuoi. Lui come gli altri è
mio figlio. E
questo non lo puoi cambiare. So che magari avevi messo in conto un
futuro diverso visto la nostra impossibilità di avere dei
bambini ma loro sono a tutti gli effetti figli miei. E non cambierei
Edward con nessun altro bambino al mondo. Inoltre quello che hai
letto è falso e se tu indagassi come si deve scopriresti la
verità
su quei verbali e sul motivo per i quali sono stati redatti.
Quindi ti saluto e ti chiedo di uscire da questa casa e dalla nostra vita per sempre”.
Quindi ti saluto e ti chiedo di uscire da questa casa e dalla nostra vita per sempre”.
Rimasi
in silenzio con un sorriso compiaciuto sulle labbra mentre abbracciavo
i miei bambini per cercare di rasserenarli.
James
ci guardò un attimo poi scuotendo la testa si avvio verso la
porta
“Hai fatto la tua scelta Carlisle ed io la
rispetterò, visto che
non posso fare altro, ma mai considererò quel ragazzo sangue
del
mio sangue.” e detto questo sbatté la porta alle
sue spalle.
Carlisle
si voltò a sorridermi poi si avvicinò e
abbracciò i ragazzi ancora
ammutoliti dalla scena. “Un seccatore di meno. Non temete,
non può
far nulla, ha detto un sacco di fesserie maturate nella sua mente
bacata e invidiosa.
La mia decisione è stata presa tempo fa e nessuno mi farà cambiare idea. Voi siete i miei figli e la mia famiglia” gli disse guardandoli negli occhi uno per volta e posando loro un bacio in fronte.
La mia decisione è stata presa tempo fa e nessuno mi farà cambiare idea. Voi siete i miei figli e la mia famiglia” gli disse guardandoli negli occhi uno per volta e posando loro un bacio in fronte.
Poi
si avvicinò a me e mi abbracciò stretto
“Non l'ho mai sopportato.
E spero di non sentire più parlare di lui”
affermò sorridendomi.
Non
lo credevo possibile ma ancora una volta ebbe ragione. Non sentimmo
più parlare di James o di problemi ereditari. Ciò
che Carlisle
aveva fatto dal suo amico notaio per riportare Edward a casa
velocemente era insindacabile e nessuno della sua famiglia
provò
più a mettere parola nella sua decisione e con il passare
del tempo
finimmo tutti per dimenticarci dell'intera questione.
Le
accuse di quel mostro nei confronti di Edward rimasero per qualche
tempo sospese come una spada pronta a calare sulla nostra
testa, ma presto vennero dimenticate dal momento che i nostri gemellini
sembravano aver
dimenticato ogni problema passato. O almeno era ciò che
pensavamo.
E
la nostra illusione durò e ci cullò fino a che
non iniziò la
scuola a metà Settembre.
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