martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 23 I cuori spezzati

Carlisle


Eravamo in casa tutti e i ragazzi stavano giocando sul tavolo a carte visto che in mattinata era piovuto e ampie pozze ricoprivano il giardino.
Esme stava allargando un paio di pantaloni di Edward che gli erano diventati stretti.
Malgrado si facesse sempre imboccare stava mangiando parecchio e si stava riempendo a vista d'occhio, infatti erano passati solo nove giorni dal ingresso dei gemelli in casa nostra.
A imboccarlo eravamo riusciti a farci accettare entrambi, così ci davamo i turni, levando quel peso ad Alice che mangiava più veloce e soprattutto di più, mettendo anche lei un po' di grasso nei punti giusti.

Io invece ero seduto a leggere un libro, e controllavo che non bisticciassero. Non accadeva spesso ma se succedeva bisognava separarli per “salvare” Emmett che se li trovava facilmente alleati contro.
Lui più grande, in tutti i sensi, con il timore di fargli male in genere subiva limitandosi a difendersi ed aspettando che io o Esme intervenissimo.

Quando il campanello suonò andai ad aprire e mi trovai di fronte la Sig.ra Smart , la psicologa dell'orfanotrofio, assieme a un uomo che non avevo mai visto.
Buongiorno. Che piacere vederla.” la salutai cordiale.
Ero convinto che mi avesse portato i famosi fogli definitivi da firmare ma la sua risposta mi colse di sorpresa e soprattutto mi lasciò senza fiato.
Sono venuta a prendere i gemelli. L'adozione non è valida” mi rispose gelida mettendomi un foglio di carta in mano.
Rimasi fermo, scioccato da quelle parole, mentre lei spingendomi da parte, entrava in casa.
Edward, Alice venite subito qua!” ordinò loro a gran voce.
Un attimo” dissi agitato mentre leggevo la lettera.
Era un istanza del tribunale di revoca dell'adozione!!!
Come è possibile?” chiesi cercando delle spiegazioni a un atto che mi sembrava completamente assurdo.
Manca il mio benestare. Loro non potevano essere dati in adozione. Le mie colleghe hanno sbagliato. I gemelli non sono a posto, hanno bisogno di essere seguiti da una persona esperta per superare il trauma che li ha colpiti ” disse piantandomi i suoi occhi duri nei miei e sorridendomi cattiva.
In un attimo intuii l'accaduto.
Il colloquio avuto con la Direttrice e la Responsabile balenò nella mia mente. Lo avevano detto che lei non sarebbe stata d'accordo e avevano provato a scavalcarla, a metterla davanti al fatto compiuto ritenendola probabilmente inadeguata.
E questa era la sua ritorsione.
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi mentre fissavo allibito quella lettera con tanto di timbri e marche da bollo.
Alzai gli occhi disperato e vidi che lei li aveva presi per mano e li stava portando fuori verso la macchina dove quell'uomo la stava aspettando.
Un attimo... aspetti.” gridai cercando di fermarla “stanno migliorando... Stanno facendo progressi. Sono felici e sereni con noi” dissi.
Volevo convincerla, spiegargli che stavamo ottenendo dei risultati, che in pochi giorni avevano fatto delle enormi conquiste e che solo l'affetto di una famiglia avrebbe potuto aiutarli perché non c'era cura migliore dell'amore, ma lei mi fulminò con gli occhi.
Quello è un provvedimento giudiziale. Se ha qualcosa da dire lo dica in tribunale. Venite” disse, uscendo dalla porta con i miei bambini per mano che si guardavano spaventati e frastornati da quell'irruzione inattesa, senza riuscire a capire cosa stesse succedendo e il perché quella persona che conoscevano, e di cui evidentemente si fidavano, li stesse portando via.
Guardai Esme disperato. Lei con gli occhi sbarrati dall'orrore, guardava i due gemelli stringendo a se un Emmett spaventato.
Loro intanto vedendo che li stava portando in macchina e realizzando cosa stava succedendo, scoppiarono a piangere disperati, cercando di sottrarsi alla sua presa ferrea.
La prego, mi ascolti.” la supplicai andandole dietro cercando di farla ragionare, di farle capire che non era quello il modo. Che potevamo parlare e magari trovare una soluzione. “ Ci sarà un modo per evitare tutto questo... Non vede come piangono? Facendo così gli farà solo del male.” cercai di fermarla.
Esme, intanto mi raggiunse sulla porta e si appoggiò allo stipite disperata.
Signori Cullen questo è un provvedimento legale. Non potete opporvi... a meno che non vogliate che chiami la polizia” ci disse girandosi verso di noi e sorridendo soddisfatta della sua rivincita.
Maledetta!! Il suo orgoglio ferito stava aprendo una ferita immensa in tutti noi e soprattutto stava facendo del male a loro.
Faremo ricorso al tribunale. Ce li faremo ridare. Farò di tutto per riportarli a casa e, tutto questo, sarà stato solo dolorosamente inutile” le risposi sperando che cambiasse idea vedendo la mia determinazione.
Ma mentre parlavo mi resi conto che ci sarebbe voluto tempo, che una causa sarebbe durata mesi forse anni pensai sconvolto.
Ci aveva messo con le spalle al muro. Aveva agito sapendo di poterlo fare, sicura che il tribunale avrebbe dato retta a lei non certo a noi.
Intanto lei, indifferente alle mie parole e al loro pianto, era arrivata alla macchina e aprendo la portiera fece entrare di peso Alice sul sedile posteriore mentre il suo accompagnatore prendeva posto al volante.
La mia bambina piangeva disperata con gli occhi dilatati dalla shock mentre ancora una volta veniva strappata via dalla famiglia.
Edward era girato verso di noi. Gli occhi verdi pieni di lacrime e di terrore.
Poi con uno strattone improvviso, complice la distrazione di quell'arpia con Alice, si liberò il polso e come un fulmine si precipitò fra le braccia di Esme saltandole in braccio.
Edward vieni qua” la sentii gridare mentre imprecando per quella ulteriore complicazione tornò sui suoi passi dopo aver chiuso la portiera per impedire la fuga di Alice.
Vi prego. Vi prometto che mangerò da solo, che dormirò nel mio letto, che farò il bravo e ubbidirò ma non voglio tornare là. Noi vogliamo stare con voi. Ti prego mamma, non ci abbandonare. Non lasciare che ci portino via”
Mi voltai a guardarlo incredulo con gli occhi lucidi di lacrime per la sua accorata preghiera.
Aveva parlato! Edward per la prima volta aveva parlato! Sotto l'influsso della paura di perderci aveva trovato nuovamente il coraggio di parlare.
Rimanemmo tutti un attimo sconvolti e stupiti, compresa la psicologa.
Il mio bambino aveva parlato e lo aveva fatto per rimanere con noi, per chiederci di non lasciare che lo portassero via, chiamando Esme per la prima volta mamma.
Ha parlato” dissi alla Psicologa, sperando che capisse l'importanza dell'avvenimento “Non sente che ha parlato! Lo lasci stare la prego. Li lasci con noi” tentai straziato da quello che stava accadendo. Ma con orrore, senza degnarsi di rispondermi, lei imperterrita, sorda alle sue parole e al mio supplicare, lo afferrò per le ascelle cercando di strapparlo via dalle braccia di Esme.
Lo lasci andare subito. Altrimenti chiamo la polizia e voi non li rivedrete mai più. ” sibilò furiosa.
Aveva ragione. Non potevamo opporci, rischiavamo di perderli definitivamente se fosse dovuta intervenire la polizia.
Se avessimo ceduto avremmo potuto fare ricorso, altrimenti... il mio cuore si rifiutò di finire la frase mentre dissi con un sussurro angosciato “Esme. Lascialo andare. Non possiamo fare nulla ora”
Lei aprì le braccia come un automa e la psicologa prese con forza Edward fra le sue e lo posò a terra serrandogli il polso con decisione per impedirgli di fuggire nuovamente.
Un attimo. La prego solo un momento” le dissi con le lacrime che scendevano dal mio viso.
Lei si fermò ed io feci un passo avanti verso di lei, mi inginocchiai e allungai le mani abbracciando stretto per un attimo il mio bambino, poi mi scostai e gli asciugai le lacrime con le mani “Ewdard. Ascoltami.” dissi cercando di sembrare tranquillo e sicuro “Devi andare con lei. Non ti opporre, non scappare. Non possiamo fermarla, non adesso. Ma ti prometto che ci batteremo con tutti i mezzi possibili per farvi ritornare a casa. Siete dei bravi bambini e vi vogliamo bene, ma adesso devi andare con lei e con Alice, tua sorella ha bisogno di te, ha bisogno di averti vicino. Non puoi lasciarla sola.”
Lui mi guardava serio con le lacrime che scendevano copiose poi si girò guardando Alice che chiusa in macchina piangeva e lo chiamava disperata da dietro il finestrino.
Va bene papà.” mi sussurrò risoluto e, apparentemente tranquillo, diede la mano alla psicologa dandoci la schiena e avviandosi verso la macchina a testa bassa, stringendosi al petto il suo peluche che non aveva mollato un attimo.
Quel mostro di donna rimase un attimo interdetta poi si affrettò ad avviarsi.
Li riavremo. Le prometto che farò di tutto. Non finisce così.” gli gridai dietro abbracciando Esme che era rimasta impietrita sotto shock.
Erano già arrivati dallo sportello della macchina che Edward si liberò nuovamente con uno strattone improvviso e ci corse incontro sorprendendo tutti.
Si fermo a pochi centimetri da Emmett, si asciugò le lacrime con la manica e gli porse la sua tigre.
Tieni. Dove vado io Tigro non starà bene. Quello non è un posto adatto a lui. Occupatene tu per favore” disse serio e accorato.
Vidi Emmett tendere le braccia e prendere il pupazzo “Si chiama Tigro?” gli chiese con la voce rotta anche lui dalle lacrime.
Si.” rispose semplicemente Edward.
Mi occuperò di lui. Non temere... fratellino” e rapido si abbracciò Edward.
Lui ricambiò l'abbraccio. Si asciugò nuovamente le lacrime e gli sorrise “Grazie Emmett. Ora devo andare da Alice.” e serio, dopo aver dato un ultimo bacio al suo peluche, si girò per tornare alla macchina.

I suoi occhi verdi, lucidi, carichi di lacrime furono le ultime cose che vedemmo quando la macchina partì.

Nessun commento:

Posta un commento