martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 27 Una richiesta d'aiuto

Carlisle

Quando fermai la macchina e scesi il mio cuore sussultò.
Davanti a me c'era l'orfanotrofio. A chiamarmi era stata la Direttrice.
Lei voleva parlare con me. Non aveva accennato al motivo e adesso l'adrenalina scorreva copiosa nelle mie vene.
Probabilmente la denuncia era arrivata, ero riuscito ad intimidirla.
Con l'ansia e la paura di sentirmi dire di rinunciare e che ero un pazzo, entrai e mi diressi con passo deciso al suo ufficio.
Quando spalancai la porta dopo aver bussato non la trovai come mi aspettavo.
Seduta al suo posto c'era la Psicologa.
La rabbia montò dentro di me e feci una fatica enorme a trattenermi.
Avrei voluta strozzarla sul posto. Volevo vedere il sangue sparire dal suo viso, la sua bocca aprirsi in cerca di quell'aria che non avrei permesso arrivasse, fino a che il suo corpo non fosse caduto ai miei piedi.
Ma non potevo, così presi fiato e cercai di calmarmi, di dominarmi.
Sono felice di vederla Dott. Cullen” mi disse lei con un sorrisino forzato.
Non posso dire altrettanto” sputai con rabbia.
Calmati Carlisle così non ottieni nulla mi rimproverai.
Si lo so. Non lo immagina perché l'ho fatta chiamare?” mi chiese guardandomi con gli occhi persi a fissare chissà cosa.
Vi è arrivata la mia denuncia??” chiesi rabbioso.
Speravo di si, volevo che mi chiedesse scusa che mi rendesse i miei figli, i miei gemelli.
Lei mi guardò stupita e sorrise “No. Ma anche se arrivasse non vincerebbe mai” mi rispose con un sorrisino tirato.
Questo lo pensi tu.” Sibilai fra i denti tanto piano che lei non lo sentì.
No... l'ho chiamata perché ho bisogno del suo aiuto” mi disse scrollando la testa e per la prima volta vidi la sua maschera di sicurezza crollare.
Non capisco” dissi confuso chiedendomi che cosa stesse succedendo e in che cosa dovessi aiutarla.
I gemelli” mi disse piantandomi negli occhi i suoi due pozzi neri. Neri come l'anima pensai ancora irato.
Poi realizzai... “I gemelli ?” dissi sentendo il cuore perdere un colpo.
Devo riconoscere che ho sbagliato” mi confessò alzandosi e guardando fuori dalla finestra in modo da darmi le spalle “Pensavo di poterli aiutare meglio di voi... ero convinta che stando qua sarei riuscita ad aiutarli in maniera più efficace. Ma mi sono resa conto di avere valutato male la situazione. Ho fallito.” continuò assorta “Non so più come fare. E' stato uno sbaglio portarli via. Un errore immenso e devastante. Il mio orgoglio… non ci sono parole abbastanza deplorevoli per definire ciò che ho fatto” finì voltandosi e guardandomi.
Aveva le lacrime agli occhi.
Rimasi spiazzato. La mia rabbia svanì preso invece dall'urgenza e dalla paura. Cosa significava tutto questo? Perché aveva bisogno del mio aiuto? Cosa era successo ai miei bambini? Cosa gli aveva fatto?
Rimasi in silenzio, stordito, assorto nei miei pensieri, ancora incredulo alle sue parole, e lei riprese a parlare dolcemente asciugandosi le lacrime con un fazzoletto già bagnato “Stanno male… tutti e due. Quando sono arrivati ho dato la colpa allo shock ed almeno Edward sembrava averla presa bene... mi sembrava rassegnato ma combattivo... ma poi... dopo qualche giorno...” e la sua voce si ruppe mentre si girava a guardare ancora fuori, forse troppo imbarazzata per guardarmi negli occhi.
Io la fissavo attonito senza riuscire ad aprire bocca, sommerso da quello che mi diceva, dallo scenario spaventoso che si era aperto davanti a me.
Non sappiamo più come aiutarli. Non so più come intervenire. Ho provato qualsiasi cosa, ma è stato tutto inutile. Si stanno lasciando morire … magari se lei gli parlasse...” disse girandosi nuovamente verso di me speranzosa.
Mi sentii sommergere dal dolore... si stavano lasciando morire??? Cosa significava??? La mia mente si rifiutava di credere a ciò che avevo udito, a ciò che implicavano le sue parole.
Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, sommerso da mille pensieri, da mille possibilità che si aprivano davanti ai miei occhi. Trascinato dalle emozioni avrei voluto prenderla per un braccio e farmi portare da loro, correre da loro, abbracciarli, baciarli, consolarli.
Ma rimasi freddo e silenzioso. Gelato come una statua di marmo.
Se li avessi incontrati e poi fossi sparito nuovamente avrei annientato loro e me stesso. Aveva ragione la Direttrice gli avrei dato una falsa speranza. Li avrei illusi per poi abbandonarli di nuovo, peggiorando così la situazione.
Scossi la testa, disperato mentre una lacrima usciva dai miei occhi.
No. Non posso aiutarla.” mormorai cercando di convincere anche me stesso.
Lei mi guardò con gli occhi sbarrati e spaventati, forse temendo che alla fine avessimo rinunciato ad averli in casa con noi. Che non volessimo più aprire il nostro cuore ferito a loro.
Ma non capisce??? Solo lei può aiutarli ad uscire dal tunnel nel quale sono entrati!” mi gridò contro come se la colpa fosse la mia.
Non posso vederli e poi sparire di nuovo!” gli urlai contro tirando un pugno sulla scrivania.
Avrei voluto tirarlo a lei e al destino che ancora una volta si prendeva beffe di me, ma scelsi quell'insulso mobile per sfogare la mia rabbia per quella situazione assurda e dolorosa al tempo stesso.
Non le sto chiedendo questo.” mi disse adesso calma. “ Se si riprendono può portarseli a casa. Le daremo l'adozione definitiva” finii sorridendomi, con gli occhi bassi pieni di vergogna.
Rimasi fermo, immobile, mentre le sue parole rimbombavano dentro di me .
Avrei riavuto di nuovo indietro i miei figli... ero già pronto ad esultare quando realizzai la seconda parte della frase. Ma cosa intendeva dire con quel se si riprendono?
Cosa sta aspettando mi porti da loro e mi spieghi cosa è successo” le dissi prendendola per un braccio e spingendola fuori dalla porta in malo modo.
Volevo vederli, loro avevano bisogno di me e io di loro. Non avevo più tempo da perdere in chiacchiere. Adesso avevo fretta, tanta fretta di riabbracciarli.

Quando li abbiamo portati qui erano abbastanza sconvolti” mi disse mentre camminavamo nel corridoio a passo spedito. La guardai e una specie di ringhio mi uscì dalle labbra mentre rivedevo le immagini che erano impresse a fuoco nel mio cuore e ripensavo alle sue parole Abbastanza sconvolti. Come abbastanza ? Erano completamente sconvolti...
Lei continuò facendo finta di niente “ Non diedi il giusto peso alla cosa e li separammo” continuò.
Come separare?? Li avete divisi?” chiesi fermandomi di colpo spaventato dalle conseguenze di quella scelta. Li conoscevo da poco ma era fin troppo chiaro la potenza del legame che li univa.
Si, mi sembrava la cosa migliore” mi disse sorridendomi amara. “Pensavo che insieme avrebbero ampliato l'un con l'altro la loro tristezza”.
La voglia di ucciderla lì in quell'istante mi salì nuovamente nelle viscere, ma cercai di ingoiare la saliva e prendere fiato per calmarmi. La mie mani si strinsero fino a far diventare bianche le nocche e se avessi avuto in mano qualcosa lo avrei sbriciolato.
Vada avanti” le ringhiai sempre più angosciato.
Non fecero storie... non dissero nulla. Si lasciarono separare senza una lacrima, ma da quel giorno Alice è come caduta in trance. Non si muove, non parla... è come se fosse diventata una bambola. E' come se il suo spirito fosse volato via con Edward” mi confessò e le vidi una lacrima scendere dal viso.
Lei è pazza. Quella ragazza ha bisogno del fratello come l'aria” le risposi fra i denti. Mentre l'immagine di Alice sconvolta da quel nuovo abbandono mi assaliva prepotente nella mente.
Lo so, ce ne siamo accorti e dopo una settimana volevamo metterli vicino, farli incontrare ma Edward non era già più in grado di aiutarla” mi sussurrò “L'ho chiamata per lui. Si sta spegnendo lentamente” mi confessò.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie poi la guardai “Si rifiuta di mangiare, vero?” chiesi sicuro della mia diagnosi. Era normale, pensai, lui si faceva imboccare solo da Alice e noi eravamo riusciti a farci accettare da lui solo dopo grandi sforzi e molta pazienza.
Non è questo. Apre la bocca e accetta il cibo e l'acqua da chiunque, senza fare nessuna storia, ma li vomita subito dopo. E' il suo corpo a rifiutarli...” mi spiegò.
La guardai spaventato. Da medico sapevo che quello che mi diceva era purtroppo possibile. “Questa è una forma nervosa di anoressia” le dissi “da quando?” le chiesi poi preoccupato.
Una settimana circa dopo il loro arrivo. Credo da quando si è reso conto che voi non sareste venuti a prenderlo.” mi rispose sussurrando senza avere il coraggio di guardarmi.
O cielo quanti giorni erano passati??? Sicuramente troppi. Pensai “Non è possibile....non si può resistere tanto senza cibo e acqua” dissi sempre più nervoso.
Lo stiamo nutrendo con le flebo...” rispose.
E adesso vi siete resi conto che non basta... che se continua così morirà in quel letto.” le gridai contro prendendola per le spalle e sbattendola contro il muro “Lei è pazza. Una pazza assassina. E se quel ragazzo muore io la trascinerò in tribunale” le ringhiai “La denuncerò per omicidio e la farò licenziare” finii lasciandola andare e riprendendo il controllo di me.
Non ce ne sarà bisogno. Ho già rassegnato le dimissioni.” mi disse fissandomi negli occhi “ma sono rimasta per aiutarla. ” mi confessò aprendo la porta di una stanza che assomigliava a una corsia dell'ospedale.
Questa è l'infermeria” annunciò “E lì c'è Edward” finì indicandomi un letto occupato.
Con il cuore in gola mi avviai dal mio bambino e mi avvicinai a lui titubante.
Aveva gli occhi chiusi e il respiro affannoso ed io gli posai la mano sui capelli sudati e sulla fronte calda. Aveva la febbre per la debolezza.
Edward. Sono Carlisle. Sono papà” gli sussurrai stringendogli la mano e sperando che avesse almeno la forza di aprire gli occhi.
Lo vidi dapprima sorridere e poi sbattere e aprire gli occhi.
Quei due smeraldi velati dalla febbre si posarono su di me. “Sei venuto a prenderci papà?? Ci porterai a casa??” mi chiese con un sussurro stentato.
Era la seconda volta che sentivo la sua voce, e la prima che mi parlava e che mi chiamava papà.
Mi salirono le lacrime agli occhi mentre gli posavo un bacino in fronte.
Annui “Si Edward appena sarai in grado di camminare torneremo a casa tutti assieme.” risposi.
E con un dolore immenso vidi una lacrima uscirgli dagli occhi e scivolargli sulla guancia mentre si addormentava sfinito sorridendomi e stringendosi al petto la mia mano.

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