Carlisle
Quando
fermai la macchina e scesi il mio cuore sussultò.
Davanti
a me c'era l'orfanotrofio. A chiamarmi era stata la Direttrice.
Lei
voleva parlare con me. Non aveva accennato al motivo e adesso
l'adrenalina scorreva copiosa nelle mie vene.
Probabilmente
la denuncia era arrivata, ero riuscito ad intimidirla.
Con
l'ansia e la paura di sentirmi dire di rinunciare e che ero un pazzo,
entrai e mi diressi con passo deciso al suo ufficio.
Quando
spalancai la porta dopo aver bussato non la trovai come mi
aspettavo.
Seduta
al suo posto c'era la Psicologa.
La
rabbia montò dentro di me e feci una fatica enorme a
trattenermi.
Avrei
voluta strozzarla sul posto. Volevo vedere il sangue sparire dal suo
viso, la sua bocca aprirsi in cerca di quell'aria che non avrei
permesso arrivasse, fino a che il suo corpo non fosse caduto ai miei
piedi.
Ma
non potevo, così presi fiato e cercai di calmarmi, di
dominarmi.
“Sono
felice di vederla Dott. Cullen” mi disse lei con un sorrisino
forzato.
“Non
posso dire altrettanto” sputai con rabbia.
Calmati
Carlisle così non ottieni nulla mi rimproverai.
“Si
lo so. Non lo immagina perché l'ho fatta
chiamare?” mi chiese
guardandomi con gli occhi persi a fissare chissà cosa.
“Vi
è arrivata la mia denuncia??” chiesi rabbioso.
Speravo
di si, volevo che mi chiedesse scusa che mi rendesse i miei figli, i
miei gemelli.
Lei
mi guardò stupita e sorrise “No. Ma anche se
arrivasse non
vincerebbe mai” mi rispose con un sorrisino tirato.
“Questo
lo pensi tu.” Sibilai fra i denti tanto piano che lei non lo
sentì.
“No...
l'ho chiamata perché ho bisogno del suo aiuto” mi
disse scrollando
la testa e per la prima volta vidi la sua maschera di sicurezza
crollare.
“Non
capisco” dissi confuso chiedendomi che cosa stesse succedendo
e in
che cosa dovessi aiutarla.
“I
gemelli” mi disse piantandomi negli occhi i suoi due pozzi
neri.
Neri come l'anima pensai ancora irato.
Poi
realizzai... “I gemelli ?” dissi sentendo il cuore
perdere un
colpo.
“Devo
riconoscere che ho sbagliato” mi confessò
alzandosi e guardando
fuori dalla finestra in modo da darmi le spalle “Pensavo di
poterli aiutare meglio di voi... ero convinta che stando qua sarei
riuscita ad aiutarli in maniera più efficace. Ma mi sono
resa conto
di avere valutato male la situazione. Ho fallito.”
continuò
assorta “Non so più come fare. E' stato uno
sbaglio portarli via.
Un errore immenso e devastante. Il mio orgoglio… non ci sono
parole
abbastanza deplorevoli per definire ciò che ho
fatto” finì
voltandosi e guardandomi.
Aveva
le lacrime agli occhi.
Rimasi
spiazzato. La mia rabbia svanì preso invece dall'urgenza e
dalla
paura. Cosa significava tutto questo? Perché aveva bisogno
del mio
aiuto? Cosa era successo ai miei bambini? Cosa gli aveva fatto?
Rimasi
in silenzio, stordito, assorto nei miei pensieri, ancora incredulo
alle sue parole, e lei riprese a parlare dolcemente asciugandosi le
lacrime con un fazzoletto già bagnato “Stanno
male… tutti e due. Quando sono arrivati ho dato la colpa
allo shock ed almeno Edward
sembrava averla presa bene... mi sembrava rassegnato ma combattivo...
ma poi... dopo qualche giorno...” e la sua voce si ruppe
mentre si
girava a guardare ancora fuori, forse troppo imbarazzata per
guardarmi negli occhi.
Io
la fissavo attonito senza riuscire ad aprire bocca, sommerso da
quello che mi diceva, dallo scenario spaventoso che si era aperto
davanti a me.
“Non
sappiamo più come aiutarli. Non so più come
intervenire. Ho provato
qualsiasi cosa, ma è stato tutto inutile. Si stanno
lasciando morire
… magari se lei gli parlasse...” disse girandosi
nuovamente
verso di me speranzosa.
Mi
sentii sommergere dal dolore... si stavano lasciando morire??? Cosa
significava??? La mia mente si rifiutava di credere a ciò
che avevo
udito, a ciò che implicavano le sue parole.
Il
mio cuore iniziò a battere all'impazzata, sommerso da mille
pensieri, da mille possibilità che si aprivano davanti ai
miei
occhi. Trascinato dalle emozioni avrei voluto prenderla per un
braccio e farmi portare da loro, correre da loro, abbracciarli,
baciarli, consolarli.
Ma
rimasi freddo e silenzioso. Gelato come una statua di marmo.
Se
li avessi incontrati e poi fossi sparito nuovamente avrei annientato
loro e me stesso. Aveva ragione la Direttrice gli avrei dato una
falsa speranza. Li avrei illusi per poi abbandonarli di nuovo,
peggiorando così la situazione.
Scossi
la testa, disperato mentre una lacrima usciva dai miei occhi.
“No.
Non posso aiutarla.” mormorai cercando di convincere anche me
stesso.
Lei
mi guardò con gli occhi sbarrati e spaventati, forse temendo
che
alla fine avessimo rinunciato ad averli in casa con noi. Che non
volessimo più aprire il nostro cuore ferito a loro.
“Ma
non capisce??? Solo lei può aiutarli ad uscire dal tunnel
nel quale
sono entrati!” mi gridò contro come se la colpa
fosse la mia.
“Non
posso vederli e poi sparire di nuovo!” gli urlai contro
tirando un
pugno sulla scrivania.
Avrei
voluto tirarlo a lei e al destino che ancora una volta si prendeva
beffe di me, ma scelsi quell'insulso mobile per sfogare la mia rabbia
per quella situazione assurda e dolorosa al tempo stesso.
“Non
le sto chiedendo questo.” mi disse adesso calma. “
Se si
riprendono può portarseli a casa. Le daremo l'adozione
definitiva” finii sorridendomi, con gli occhi bassi pieni di
vergogna.
Rimasi
fermo, immobile, mentre le sue parole rimbombavano dentro di me .
Avrei
riavuto di nuovo indietro i miei figli... ero già pronto ad
esultare
quando realizzai la seconda parte della frase. Ma cosa intendeva dire
con quel se si riprendono?
“Cosa
sta aspettando mi porti da loro e mi spieghi cosa è
successo” le
dissi prendendola per un braccio e spingendola fuori dalla porta in
malo modo.
Volevo
vederli, loro avevano bisogno di me e io di loro. Non avevo
più
tempo da perdere in chiacchiere. Adesso avevo fretta, tanta fretta di
riabbracciarli.
“Quando
li abbiamo portati qui erano abbastanza sconvolti” mi disse
mentre
camminavamo nel corridoio a passo spedito. La guardai e una specie di
ringhio mi uscì dalle labbra mentre rivedevo le immagini che
erano impresse a fuoco nel mio cuore e ripensavo alle sue parole
Abbastanza sconvolti. Come
abbastanza ? Erano completamente
sconvolti...
Lei
continuò facendo finta di niente “ Non diedi il
giusto peso alla
cosa e li separammo” continuò.
“Come
separare?? Li avete divisi?” chiesi fermandomi di colpo
spaventato
dalle conseguenze di quella scelta. Li conoscevo da poco ma era fin
troppo chiaro la potenza del legame che li univa.
“Si,
mi sembrava la cosa migliore” mi disse sorridendomi amara.
“Pensavo
che insieme avrebbero ampliato l'un con l'altro la loro
tristezza”.
La
voglia di ucciderla lì in quell'istante mi salì
nuovamente nelle
viscere, ma cercai di ingoiare la saliva e prendere fiato per
calmarmi. La mie mani si strinsero fino a far diventare bianche le
nocche e se avessi avuto in mano qualcosa lo avrei sbriciolato.
“Vada
avanti” le ringhiai sempre più angosciato.
“Non
fecero storie... non dissero nulla. Si lasciarono separare senza una
lacrima, ma da quel giorno Alice è come caduta in trance.
Non si muove, non parla... è come se fosse diventata una
bambola. E' come
se il suo spirito fosse volato via con Edward” mi
confessò e le
vidi una lacrima scendere dal viso.
“Lei
è pazza. Quella ragazza ha bisogno del fratello come
l'aria” le
risposi fra i denti. Mentre l'immagine di Alice sconvolta da quel
nuovo abbandono mi assaliva prepotente nella mente.
“Lo
so, ce ne siamo accorti e dopo una settimana volevamo metterli
vicino, farli incontrare ma Edward non era già
più in grado di
aiutarla” mi sussurrò “L'ho chiamata per
lui. Si sta spegnendo
lentamente” mi confessò.
Non
riuscivo a credere alle mie orecchie poi la guardai “Si
rifiuta di
mangiare, vero?” chiesi sicuro della mia diagnosi. Era
normale,
pensai, lui si faceva imboccare solo da Alice e noi eravamo
riusciti a farci accettare da lui solo dopo grandi sforzi e molta
pazienza.
“Non
è questo. Apre la bocca e accetta il cibo e l'acqua da
chiunque,
senza fare nessuna storia, ma li vomita subito dopo. E' il suo corpo
a rifiutarli...” mi spiegò.
La
guardai spaventato. Da medico sapevo che quello che mi diceva era
purtroppo possibile. “Questa è una forma nervosa
di anoressia”
le dissi “da quando?” le chiesi poi preoccupato.
“Una
settimana circa dopo il loro arrivo. Credo da quando si è
reso conto
che voi non sareste venuti a prenderlo.” mi rispose
sussurrando
senza avere il coraggio di guardarmi.
O
cielo quanti giorni erano passati??? Sicuramente troppi. Pensai
“Non è possibile....non si può
resistere tanto senza cibo e
acqua” dissi sempre più nervoso.
“Lo
stiamo nutrendo con le flebo...” rispose.
“E
adesso vi siete resi conto che non basta... che se continua
così
morirà in quel letto.” le gridai contro
prendendola per le spalle
e sbattendola contro il muro “Lei è pazza. Una
pazza assassina. E
se quel ragazzo muore io la trascinerò in
tribunale” le ringhiai
“La denuncerò per omicidio e la farò
licenziare” finii lasciandola andare e riprendendo il
controllo di me.
“Non
ce ne sarà bisogno. Ho già rassegnato le
dimissioni.” mi disse
fissandomi negli occhi “ma sono rimasta per aiutarla.
” mi
confessò aprendo la porta di una stanza che assomigliava a
una
corsia dell'ospedale.
“Questa
è l'infermeria” annunciò “E
lì c'è Edward” finì
indicandomi un letto occupato.
Con
il cuore in gola mi avviai dal mio bambino e mi avvicinai a lui
titubante.
Aveva
gli occhi chiusi e il respiro affannoso ed io gli posai la mano sui
capelli sudati e sulla fronte calda. Aveva la febbre per la
debolezza.
“Edward.
Sono Carlisle. Sono papà” gli sussurrai
stringendogli la mano e
sperando che avesse almeno la forza di aprire gli occhi.
Lo
vidi dapprima sorridere e poi sbattere e aprire gli occhi.
Quei
due smeraldi velati dalla febbre si posarono su di me. “Sei
venuto
a prenderci papà?? Ci porterai a casa??” mi chiese
con un sussurro
stentato.
Era
la seconda volta che sentivo la sua voce, e la prima che mi parlava
e che mi chiamava papà.
Mi
salirono le lacrime agli occhi mentre gli posavo un bacino in fronte.
Annui
“Si Edward appena sarai in grado di camminare torneremo a
casa
tutti assieme.” risposi.
E
con un dolore immenso vidi una lacrima uscirgli dagli occhi e
scivolargli sulla guancia mentre si addormentava sfinito sorridendomi
e stringendosi al petto la mia mano.
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