Carlisle
Uscito
dall'orfanotrofio con il cuore gonfio di dolore mi diressi di corsa
verso lo studio di Mails. Non era molto lontano ma io guidai come
un matto ugualmente raggiungendolo in pochi minuti.
Per
fortuna non avevo incontrato poliziotti altrimenti una bella multa
per eccesso di velocità non me l'avrebbe levata nessuno. Ma
non
m'importava d'aver rischiato, sentivo di non poter perdere nemmeno un
minuto di più. Loro stavano male, stavano iniziando a
perdere le
speranze se non lo avevano già fatto, riflettei, ripensando
al
colloquio avuto con la Direttrice, mentre scendevo dalla macchina
come un razzo. Senza indugi e con la fretta come unica compagna e
amica suonai deciso al campanello del suo studio.
Una
signorina alta, bella e bionda dall'aspetto professionale e il
vestito impeccabile, mi aprii la porta e dopo avermi guardato un
attimo mi sorrise ed andò ad annunciarmi al mio amico, senza
nemmeno chiedermi il nome.
Per
un attimo mi stupii di quell'atteggiamento poi capii. Evidentemente
ormai mi conosceva visto le visite quasi giornaliere che facevo in
quel posto.
Quando
entrai nella sua stanza, Mails mi fece accomodare nella seggiola
davanti alla sua scrivania, poi senza neanche darmi il tempo di
parlare mi disse “Carlisle... ci vuole tempo. Mi fa piacere
vederti lo sai, ma sei venuto ieri e non ci sono
novità” e nella
sua voce pacata e comprensiva c'era pietà.
“Non
ho tempo, non abbiamo più tempo! Loro devono tornare e
velocemente.
Non possono più stare in quel posto! Non posso lasciarli
lì a
disperarsi. Dobbiamo fare qualcosa.” gli spiegai con il cuore
che
batteva per l'agitazione.
Lui
mi guardò rattristato e mi rispose quello che continuava a
dirmi da
giorni “E' una procedura lunga Carlisle. Sto facendo tutto il
possibile, credimi. Ma devi avere pazienza.”
Presi
fiato, mi alzai e passeggiando nervosamente per la stanza con una
mano che mi torturava i capelli gli dissi “Ascolta io sono
l'erede
di una famiglia inglese nobile. In Inghilterra ho patrimoni immensi a
disposizione, case, terreni, investimenti. Ti metto tutto a
disposizione, dimmi quanto ti serve e l'avrai, corrompi qualcuno,
offri mazzette... qualunque cosa. Non possiamo più
permetterci di
aspettare ” gli dissi accalorato.
Lui
scosse la testa poi mi guardò negli occhi con uno strano
lampo
indagatore. “Tu hai un titolo per discendenza?” mi
chiese
stupito.
Non
ne parlavo mai, non mi interessava, vivevo ed ero una persona
normale, l'Inghilterra con le sue formalità era lontana
anche dal
mio cuore.
“Si
sono Conte” gli confermai chiedendomi dove volesse andare a
parare.
“Hai
mai ufficializzato Emmett come tuo erede legittimo?” mi
chiese con
gli occhi attenti.
“Non
ho mai fatto nulla. Non mi interessa il titolo e poi davo per
scontato che fosse così con l'adozione” risposi
stringendomi nelle
spalle perplesso.
Lo
vidi annuire “Ascolta sarebbe così. Il titolo
toccherebbe a lui in
quanto primo figlio e quindi primo erede, ma se tu facessi un atto
ufficiale e passassi il tuo titolo ad Edward in virtù della
tentata
adozione... Forse ci sarebbe una speranza in più.
L'Inghilterra
tiene molto ai suoi titoli nobiliari e sono sicuro che l'ambasciata
farebbe pressione per ricongiungere velocemente un nobile al suo
erede legale. E avuto lui, Alice lo seguirebbe a ruota essendo la
gemella. ” mi spiegò facendomi un gran sorriso
furbo.
Rimasi
un attimo interdetto. Possibile?? Era quella dunque la soluzione??
Ufficializzare Edward come erede del titolo?? Ma Emmett?? Era giusto
nei suoi confronti??
Lui
proseguì come se avesse letto nella mia mente, forse sapendo
già
quali sarebbero stati i miei timori
“Ad Emmett verrebbe
riconosciuto il titolo di secondo discendente e se tu ed
Esme, in un secondo tempo e con calma, faceste testamento e divideste
le vostre proprietà in maniera equa fra i tre figli,
nessuno di loro perderebbe nulla. Ed Edward si troverebbe con un titolo
che in fin dei conti sarebbe solo un pezzo di carta e basta
qui in America. Ma un pezzo di carta che in Inghilterra avrebbe un
potere immenso, visto quanto tengono alle tradizioni, e di
conseguenza potrebbe forzare un giudice a darti la sua adozione in
tempi assai più brevi.”
Lo
guardai allibito.
“Si
può fare?? Servirà??” gli chiesi
accendendomi di speranza.
“Si
ne sono certo. Basta solo un atto notarile che ti posso preparare
in pochi minuti. Sicuramente riusciremo ad accorciare i tempi
facendo così. Magari fra sette o otto mesi riusciremo ad
avere già l'adozione regolare” mi disse sorridendo.
Annui
e senza un minuto di esitazione gli dissi “Prepara tutto. Non
voglio perdere nemmeno un attimo”
Non
era molto, anzi era molto poco ma era sempre meglio di niente. Forse
quel titolo a cui tenevo così poco era quello che ci avrebbe
salvato
anche se i tempi sarebbero stati comunque lunghissimi... mi dissi
uscendo, dopo aver firmato l'atto.
Quella
sera raccontai tutto ad Esme che accolse le notizie dapprima con
stupore e poi con soddisfazione. Avevamo davanti una speranza
piccolissima, ma almeno qualcosa sembrava iniziare a muoversi.
Passarono
altri due giorni senza purtroppo notizie e avevo appena finito il
turno dell'ospedale, quando entrando in casa il cellulare
suonò.
Lo
estrassi dalla tasca e lo guardai esterrefatto. Possibile? Forse mi
stavo sbagliando!
Esme
Carlisle
era in ritardo ma non ero preoccupata per lui.
Era
Emmet il centro dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Era
triste, abbattuto e non sapevo come fare per tirarlo su.
Erano
ormai i primi di Luglio e fra qualche giorno saremmo partiti per
andare a trovare mia sorella. Quando aveva saputo quello che era
successo, ci aveva invitati insistendo che dovevamo cambiare aria. In
fondo era solo questione di aspettare ormai, e stare a macerarci in
casa non era di alcuna utilità per nessuno. Senza contare
che così
Emmett avrebbe potuto giocare con i suoi cugini che avevano grosso
modo la sua età, distraendosi così dall'accaduto.
Non
vedevo i miei nipoti da quando erano nati.
Il
viaggio ci avrebbe fatto bene, o almeno avrebbe fatto bene a lui
visto che quel pensiero ci tormentava tutti, notte e giorno, giorno
e notte senza fine.
Sospirai
mentre piegavo le lenzuola rosa di Alice. Solo da due giorni avevo
trovato il coraggio di disfare i loro letti. Non riuscivo a pensare
che sarebbero rimasti vuoti a lungo, ma non aveva senso lasciarli
intonsi. Andavano cambiati e puliti, pronti a riceverli nuovamente.
Così avevo lavato le loro lenzuola e adesso le avrei riposte
nell'armadio sperando di poterle usare nuovamente molto presto.
Sentii
la macchina di Carlisle fermarsi davanti a casa e sorrisi felice.
Lo
amavo teneramente e ora più che mai avevo bisogno di lui,
della sua
forza, della sua determinazione, per andare avanti, per trovare il
coraggio di sperare. Lui non intendeva mollare ed io gliene ero
infinitamente grata.
La
porta si aprì e lui entrò in casa mettendosi il
cellulare nella
tasca, mi guardò con una strana luce negli occhi, e mi disse
“Mi
hanno chiamato. Devo andare. Ci sentiamo più
tardi.”
Non
aggiunse altro e senza darmi spiegazioni di nessun tipo si
voltò e
spari salendo nuovamente in macchina e partendo a razzo.
Ma
dove stava andando?? Cosa era successo?? Chi lo aveva chiamato??
Probabilmente un emergenza in ospedale, pensai chiudendo la porta con
un sospiro.
Presto
l'avrei scoperto...
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