martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 26 Una nuova speranza

Carlisle

Uscito dall'orfanotrofio con il cuore gonfio di dolore mi diressi di corsa verso lo studio di Mails. Non era molto lontano ma io guidai come un matto ugualmente raggiungendolo in pochi minuti.
Per fortuna non avevo incontrato poliziotti altrimenti una bella multa per eccesso di velocità non me l'avrebbe levata nessuno. Ma non m'importava d'aver rischiato, sentivo di non poter perdere nemmeno un minuto di più. Loro stavano male, stavano iniziando a perdere le speranze se non lo avevano già fatto, riflettei, ripensando al colloquio avuto con la Direttrice, mentre scendevo dalla macchina come un razzo. Senza indugi e con la fretta come unica compagna e amica suonai deciso al campanello del suo studio.
Una signorina alta, bella e bionda dall'aspetto professionale e il vestito impeccabile, mi aprii la porta e dopo avermi guardato un attimo mi sorrise ed andò ad annunciarmi al mio amico, senza nemmeno chiedermi il nome.
Per un attimo mi stupii di quell'atteggiamento poi capii. Evidentemente ormai mi conosceva visto le visite quasi giornaliere che facevo in quel posto.
Quando entrai nella sua stanza, Mails mi fece accomodare nella seggiola davanti alla sua scrivania, poi senza neanche darmi il tempo di parlare mi disse “Carlisle... ci vuole tempo. Mi fa piacere vederti lo sai, ma sei venuto ieri e non ci sono novità” e nella sua voce pacata e comprensiva c'era pietà.
Non ho tempo, non abbiamo più tempo! Loro devono tornare e velocemente. Non possono più stare in quel posto! Non posso lasciarli lì a disperarsi. Dobbiamo fare qualcosa.” gli spiegai con il cuore che batteva per l'agitazione.
Lui mi guardò rattristato e mi rispose quello che continuava a dirmi da giorni “E' una procedura lunga Carlisle. Sto facendo tutto il possibile, credimi. Ma devi avere pazienza.”
Presi fiato, mi alzai e passeggiando nervosamente per la stanza con una mano che mi torturava i capelli gli dissi “Ascolta io sono l'erede di una famiglia inglese nobile. In Inghilterra ho patrimoni immensi a disposizione, case, terreni, investimenti. Ti metto tutto a disposizione, dimmi quanto ti serve e l'avrai, corrompi qualcuno, offri mazzette... qualunque cosa. Non possiamo più permetterci di aspettare ” gli dissi accalorato.
Lui scosse la testa poi mi guardò negli occhi con uno strano lampo indagatore. “Tu hai un titolo per discendenza?” mi chiese stupito.
Non ne parlavo mai, non mi interessava, vivevo ed ero una persona normale, l'Inghilterra con le sue formalità era lontana anche dal mio cuore.
Si sono Conte” gli confermai chiedendomi dove volesse andare a parare.
Hai mai ufficializzato Emmett come tuo erede legittimo?” mi chiese con gli occhi attenti.
Non ho mai fatto nulla. Non mi interessa il titolo e poi davo per scontato che fosse così con l'adozione” risposi stringendomi nelle spalle perplesso.
Lo vidi annuire “Ascolta sarebbe così. Il titolo toccherebbe a lui in quanto primo figlio e quindi primo erede, ma se tu facessi un atto ufficiale e passassi il tuo titolo ad Edward in virtù della tentata adozione... Forse ci sarebbe una speranza in più. L'Inghilterra tiene molto ai suoi titoli nobiliari e sono sicuro che l'ambasciata farebbe pressione per ricongiungere velocemente un nobile al suo erede legale. E avuto lui, Alice lo seguirebbe a ruota essendo la gemella. ” mi spiegò facendomi un gran sorriso furbo.
Rimasi un attimo interdetto. Possibile?? Era quella dunque la soluzione?? Ufficializzare Edward come erede del titolo?? Ma Emmett?? Era giusto nei suoi confronti??
Lui proseguì come se avesse letto nella mia mente, forse sapendo già quali sarebbero stati i miei timori
“Ad Emmett verrebbe riconosciuto il titolo di secondo discendente e se tu ed Esme, in un secondo tempo e con calma, faceste testamento e divideste le vostre proprietà in maniera equa fra i tre figli, nessuno di loro perderebbe nulla. Ed Edward si troverebbe con un titolo che in fin dei conti sarebbe solo un pezzo di carta e basta qui in America. Ma un pezzo di carta che in Inghilterra avrebbe un potere immenso, visto quanto tengono alle tradizioni, e di conseguenza potrebbe forzare un giudice a darti la sua adozione in tempi assai più brevi.”
Lo guardai allibito.
Si può fare?? Servirà??” gli chiesi accendendomi di speranza.
Si ne sono certo. Basta solo un atto notarile che ti posso preparare in pochi minuti. Sicuramente riusciremo ad accorciare i tempi facendo così. Magari fra sette o otto mesi riusciremo ad avere già l'adozione regolare” mi disse sorridendo.
Annui e senza un minuto di esitazione gli dissi “Prepara tutto. Non voglio perdere nemmeno un attimo”
Non era molto, anzi era molto poco ma era sempre meglio di niente. Forse quel titolo a cui tenevo così poco era quello che ci avrebbe salvato anche se i tempi sarebbero stati comunque lunghissimi... mi dissi uscendo, dopo aver firmato l'atto.
Quella sera raccontai tutto ad Esme che accolse le notizie dapprima con stupore e poi con soddisfazione. Avevamo davanti una speranza piccolissima, ma almeno qualcosa sembrava iniziare a muoversi.

Passarono altri due giorni senza purtroppo notizie e avevo appena finito il turno dell'ospedale, quando entrando in casa il cellulare suonò.
Lo estrassi dalla tasca e lo guardai esterrefatto. Possibile? Forse mi stavo sbagliando!


Esme

Carlisle era in ritardo ma non ero preoccupata per lui.
Era Emmet il centro dei miei pensieri e delle mie preoccupazioni.
Era triste, abbattuto e non sapevo come fare per tirarlo su.
Erano ormai i primi di Luglio e fra qualche giorno saremmo partiti per andare a trovare mia sorella. Quando aveva saputo quello che era successo, ci aveva invitati insistendo che dovevamo cambiare aria. In fondo era solo questione di aspettare ormai, e stare a macerarci in casa non era di alcuna utilità per nessuno. Senza contare che così Emmett avrebbe potuto giocare con i suoi cugini che avevano grosso modo la sua età, distraendosi così dall'accaduto.
Non vedevo i miei nipoti da quando erano nati.
Il viaggio ci avrebbe fatto bene, o almeno avrebbe fatto bene a lui visto che quel pensiero ci tormentava tutti, notte e giorno, giorno e notte senza fine.

Sospirai mentre piegavo le lenzuola rosa di Alice. Solo da due giorni avevo trovato il coraggio di disfare i loro letti. Non riuscivo a pensare che sarebbero rimasti vuoti a lungo, ma non aveva senso lasciarli intonsi. Andavano cambiati e puliti, pronti a riceverli nuovamente. Così avevo lavato le loro lenzuola e adesso le avrei riposte nell'armadio sperando di poterle usare nuovamente molto presto.
Sentii la macchina di Carlisle fermarsi davanti a casa e sorrisi felice.
Lo amavo teneramente e ora più che mai avevo bisogno di lui, della sua forza, della sua determinazione, per andare avanti, per trovare il coraggio di sperare. Lui non intendeva mollare ed io gliene ero infinitamente grata.
La porta si aprì e lui entrò in casa mettendosi il cellulare nella tasca, mi guardò con una strana luce negli occhi, e mi disse “Mi hanno chiamato. Devo andare. Ci sentiamo più tardi.”
Non aggiunse altro e senza darmi spiegazioni di nessun tipo si voltò e spari salendo nuovamente in macchina e partendo a razzo.
Ma dove stava andando?? Cosa era successo?? Chi lo aveva chiamato?? Probabilmente un emergenza in ospedale, pensai chiudendo la porta con un sospiro.
Presto l'avrei scoperto...

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