Esme
Avevamo
iscritto Emmett in prima media e i gemelli in quarta elementare.
Ma
mentre Emmett si recò nella nuova scuola felice contento,
per i
fratelli il primo giorno nella nuova scuola fu un incubo.
Sotto
pressione dalle maestre avevamo dovuto iscriverli in due sezioni
differenti.
Sostenevano infatti che facendo così sarebbe stato meglio per entrambi, che avrebbero potuto riuscire a crearsi amicizie diverse e crescere più autonomi. Era infatti consuetudine farlo in presenza di gemelli.
Sostenevano infatti che facendo così sarebbe stato meglio per entrambi, che avrebbero potuto riuscire a crearsi amicizie diverse e crescere più autonomi. Era infatti consuetudine farlo in presenza di gemelli.
Ma
loro non la pensavano così e quando andammo a prenderli
all'uscita
del primo giorno ci dissero che avevano pianto tutta la mattina
entrambi.
A
casa cercammo di fargli capire che non era una cosa così
tragica
essere in due aule separate, in fondo erano una di fronte all'altra.
Volevamo farli ragionare e capire che avrebbero avuto
l'opportunità
di farsi tanti nuovi amici e che non c'era alcun pericolo. Non era
una separazione definitiva, ma solo temporanea, solo per quelle poche
ore.
Ma
non ci fu nulla da fare.
Non
volevano più andare a scuola. Nessuno dei due.
La
mattina successiva fu un vero incubo. Chiedemmo alla signora Luisa
di accompagnare Emmett in modo da riuscire a stare con loro ed
evitare che lui arrivasse in ritardo per colpa dei fratelli. E
avemmo ragione. Già riuscire a farli vestire e accompagnarli
a
scuola fu una battaglia lunga ed estenuante, ma poi come videro il
portone, fra gli sguardi stupiti degli altri bambini e degli altri
genitori, si rifugiarono fra le nostre braccia rifiutandosi
categoricamente entrambi di scendere e raggiungere i loro compagni
già in fila e pronti per entrare tutti felici.
Le
due maestre affidarono gli altri bambini alle loro colleghe e ci
vennero inconro per aiutarci. Le avevamo già
avvisate dei loro problemi al momento dell'iscrizione e
quindi sapevano di dover essere comprensive e
pazienti con i nostri gemellini. Infatti arrivarono tutte e
due sorridenti a cercare di parlargli, di convincerli a
lasciarci
ed entrare con loro ma i nostri bambini erano sordi a qualsiasi
ragionamento.
Immaginavamo
con Carlisle che sarebbe stata dura. Avevano frequentato la scuola
insieme nell'orfanotrofio, l'anno precedente, e quel cambiamento
doveva essere per loro veramente difficile da accettare.
Ambiente nuovo, maestre nuove, compagni nuovi e per finire la separazione da noi e fra di loro.
Ambiente nuovo, maestre nuove, compagni nuovi e per finire la separazione da noi e fra di loro.
Fu
una bidella, dopo un ora di battaglia inutile e tentativi vuoti da
parte nostra e delle maestre, ad avere l'idea giusta per sbloccare
la situazione.
“Edward,
Alice facciamo così” gli disse sorridendogli
“Ogni qualvolta
che suona la campanella uscite dall'aula e vi salutate e poi passate
l'intervallo insieme in una delle due classi. E mamma e papà
vi
aspettano qua fuori così se sentite la mancanza vi
accompagno io a
salutarli” gli propose conciliante.
Loro
si guardarono in quella muta comunicazione di cui erano tanto esperti
poi voltarono gli occhi verso le due maestre in cerca della loro
approvazione.
A
quel punto sperai che le maestre cedessero a quel piccolo privilegio
visto che sembravano quasi convinti.
“Si
può fare” disse la maestra Elisabeth tendendo le
mani ad Edward.
Lui si voltò verso la maestra di Alice, Marika, che annui
allungandosi verso Alice.
Entrambi
si guardarono un attimo e si fecero prendere e dopo averci dato un
bacino, si allontanarono per mano senza più piangere.
L'accordo
funzionò, e funzionò così bene, che
già dal secondo giorno noi
potemmo tornare subito a casa e piano piano le maestre riuscirono ad
allungare tempi di separazione e a far si che alla fine dell'anno
si vedessero soltanto nell'intervallo. Ovviamente ogni tanto uno
dei due andava in crisi e le maestre, molto furbamente, lo
accompagnavano a trovare il fratello nell'altra aula riuscendo
così
a calmare il gemello spaventato.
Dicembre
arrivò con il suo freddo subito seguito da un Natale ricco
di doni
e di gioia per la nostra nuova famiglia. E finalmente, come avevamo
sperato per lunghi anni, sull'albero riuscimmo a mettere quattro
stupende palline nuove una per ogni ragazzo e una per me e Carlisle.
Eravamo
felici e contenti e il passato dei gemelli sembrava morto e sepolto,
lontano anni luce, se si levava qualche incubo che continuava a
spuntare improvviso risvegliando e spaventando Edward di notte.
Solo
a Natale Edward iniziò a diventare visibilmente sempre
più
nervoso.
Ed
era comprensibile, il fattaccio era avvenuto nei primi giorni di
Gennaio e lui non aveva dimenticato del tutto.
A
ricordaglielo c'erano le sue cicatrici oltre alla strana paura dei
temporali e delle divise.
Charlie
passò con noi le feste, cercava compagnia per non pensare
alla sua
bambina ma stava attento a venire sempre in borghese. Sapeva che
Edward avrebbe reagito male alla vista della divisa e non voleva
metterlo a disagio.
Il
Giorno dell'Epifania poi si presentò da noi con un sacchetto
pieno
di dolciumi e il solito sorriso.
Ma
era un sorriso tirato e falso.
La
sua ex-moglie Renee aveva deciso di risposarsi e lui ancora
innamorato di lei aveva preso malissimo la notizia.
“La
mia Isabella, adesso chiamerà papà qualcun'
altro” ci confidò
quel pomeriggio bevendo una birra insieme a Carlisle.
“Mi
spiace Charlie” gli rispose lui “Ma non credo possa
dimenticarsi
completamente di te” continuò lanciando uno
sguardo ad Edward che
seduto sul divano si era accoccolato a fianco a me stringendosi
Tigro mentre leggeva, apparentemente disinteressato ai
nostri discorsi.
Charlie
sorrise lisciandosi i baffi quando dopo aver cambiato posizione
notò che Edward, lo stava osservando attentamente.
Per
quanto lo avesse accettato, lo teneva costantemente d'occhio e non
gli permetteva di avvicinarlo più di tanto o di fare
movimenti
improvvisi.
“Edward
giochiamo a scacchi?” gli chiese poi all'improvviso sapendo
benissimo di perdere.
Edward
era diventato bravissimo a giocare e Charlie lo sapeva
perfettamente. Fin da subito aveva provato a conquistare la sua
fiducia, a rompere il ghiaccio con il mio bambino con qualsiasi
scusa, ma malgrado i suoi timidi tentativi, Edward lo trattava
imperterrito con cortese distacco.
“Dai
straccialo” lo incitò Carlisle pensando che
avrebbe fatto bene ad
entrambi.
Edward
annui, si alzò tranquillamente, posò il libro al
mio fianco e prese la scacchiera posandola poi sul tavolo con vicino
Tigro.
Io
e Carlisle ci sedemmo vicini sul divano ad osservarlo incuriositi e
speranzosi che si fosse deciso ad abbattere il muro che aveva eretto
con il nostro amico. Alice ed Emmett invece giocavano con il
proprio DS che avevamo regalato loro a Natale, indifferenti a quello
che stava succedendo.
Dopo
pochi minuti che giocavano Edward ci lasciò di stucco
chiedendo a
Charlie “Hai la pistola sotto al maglione?”
Vedemmo
il nostro amico poliziotto aprire e chiudere la bocca in evidente
imbarazzo. Non sapeva evidentemente cosa rispondergli spiazzato da
quella domanda repentina e improvvisa.
“Si.
In quanto poliziotto giro sempre armato” gli rispose infine
dopo
averci pensato un attimo.
Edward
annui compiaciuto “E sai sparare?” gli chiese
muovendo la regina
“Scacco” aggiunse tranquillamente.
“Emh…certamente.”
rispose lui spostando l'alfiere sempre più a disagio.
“Mi
insegneresti?” gli chiese candidamente Edward puntandogli gli
occhi verdi brillanti nei suoi e spostando la torre “Scacco
matto” concluse sornione in attesa di una risposta.
Sobbalzai.
Ma che domande erano? Cosa stava girando per la testa ad Edward
pensai spaventata.
“Quando
avrai diciott'anni e sarai maggiorenne, ne riparleremo”
rispose
Charlie burbero aggrottando gli occhi e buttando il re sulla
scacchiera.
“Hai
vinto anche questa volta” sorrise tirato e chiaramente a
disagio.
Edward
annui sorridente. “Allora aspetterò”
rispose scendendo dalla
seggiola e raggiungendo Alice seduta sul tappeto per unirsi al suo
gioco.
Io e Carlisle ci
scambiammo un veloce sguardo preoccupato poi
incrociammo gli occhi di Charlie che non aveva perso un movimento di
Edward e lo fissava tirandosi i baffi pensoso.
“Mi
accompagni fuori Carlisle?” gli chiese lanciandogli uno
sguardo
tutt'altro che tranquillo.
Vidi
il mio amore annuire comprensivo e prendendo due birre uscire con il
suo amico sotto il portico.
Carlisle
L'uscita
di Edward mi aveva lascito sconcertato. Era nervoso, da quando la
scuola era chiusa per le vacanze, e di notte aveva nuovamente gli
incubi ma da quello a pensare alle pistole mi sembrava veramente un
brutto segno.
“Hai
armi in casa Carlisle?” mi chiese Charlie quando fummo fuori
accendendosi pensieroso una sigaretta.
Mi
tirai su il bavaro della giacca che mi ero messo e stappai la birra
tirando un lungo sorso.
“No,
Charlie. Anche se avendo fatto il militare ho imparato a sparare
abbastanza bene” gli risposi.
“Meglio
così” mi disse sorridendomi. “Sarei
preoccupato, altrimenti.”
continuò tirando anche lui un lungo sorso.
Mi
limitai ad annuire. Lo sarei stato anch'io.
“Non
mi aspettavo un uscita così da Edward” mi
confidò poi.
“Neanch'io. Anche se
è nervoso in questi ultimi giorni. Se ti ricordi i suoi
genitori sono morti in questo periodo” gli ricordai “Ma speravo
che piano piano dimenticasse.” spiegai avvilito.
“Non
potrà mai dimenticare Carlisle. Il suo corpo glielo ricorda,
ogni
mattina e ogni sera” mi disse sorridendo amaro al ricordo
“Il
passato non si cancella, purtroppo, bisogna solo imparare conviverci e
lui per ora è ancora troppo piccolo per accettare
l'accaduto.” continuò con un sospiro.
Sapevo
che purtroppo aveva ragione anche se era difficile digerire certe
cose e soprattutto sapere che non sbagliava “Rientriamo prima
che
si preoccupino?” gli chiesi innervosito e con la voglia di
tenere
Edward sott'occhio.
“Va
bene. Ma ricordati che lui avrà sempre bisogno di voi, siete
i suoi
genitori” mi disse quasi sussurrando e una lacrima gli
sfuggì dagli occhi.
Stava
evidentemente pensando alla sua Isabella così lontana.
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