Carlisle
Ovviamente
il giorno dopo parlammo a tutti e tre in separata sede.
Emmett mi
assicurò che non aveva fatto nulla oltre a baciarle quelle
ragazze e io ne approfittai per spiegargli alcune cosette che era
meglio sapesse.
Ovviamente
mi stette a sentire rapito e attento.
Chissà
perché?? Pensai ironico osservandolo spalancare gli occhi e
sorridere tutto felice.
Alice
invece promise ad Esme che sarebbe stata più brava e attenta
mentre Edward si limitò ad alzare le spalle al mio
rimprovero.
“Sono
fatti miei” rispose burbero.
Gli
spiegai che era bello stare con gli altri, avere qualche amico e
magari più grande una fidanzata come il fratello.
Lo
vidi scuotere la testa “Fidanzata. Non sarà mai
possibile” mi
rispose arrabbiato troncando sul nascere qualsiasi risposta da parte
mia.
Era
ancora piccolo, crescendo sicuramente avrebbe cambiato idea, pensai
senza preoccuparmi più di tanto.
Arrivò
la fine dell'anno, e furono tutti promossi con degli ottimi voti e
iniziarono le vacanze. Come l'anno precedente decidemmo di passarle a
casa anche perché quando ebbi le ferie Emmett
pensò bene di
prendersi la Varicella.
Io
ed Esme l'avevamo già fatta ma non sapevamo i gemelli.
Ma
per fortuna andò bene a parte le vacanze saltate visto che
l'unico ad ammalarsi fu Emmett.
Così
quando ero libero dai turni li portavamo al fiume o al parco.
E
la scuola iniziò nuovamente portandosi dietro la sua routine.
Io
ed Esme eravamo contenti, a parte Edward che continuava ad essere
chiuso e scontroso con tutti, apparentemente il passato dei gemelli
era stato chiuso in un cassetto e dimenticato.
Continuavano
sempre a cercarsi e a stare vicini ma stavano iniziando a vivere la
loro vita, soprattutto Alice che faceva amicizia con tutti e aveva un
sacco di amichette.
Non
avevamo capito quanto erano invece profondamente legati e quel
Novembre ne avemmo la conferma.
Esme
Carlisle
era la lavoro e i ragazzi a scuola. Stavo uscendo per andare a fare
la spesa quando mi suonò il telefono.
“Pronto?!”
chiesi
“Buongiorno,
la signora Cullen?” mi chiese una voce femminile gentile.
“Si.
Sono io” risposi
“Sono
la segretaria della scuola elementare. Dovrebbe venire a prendere Alice
a
scuola. La bambina non sta bene” mi spiegò.
“Certo
arrivo subito” risposi agitata. Era la prima volta che uno
dei
gemelli aveva qualcosa. Eravamo fin stupiti con Carlisle per quanto
fossero forti, non si ammalavano mai.
Senza
perdere tempo salii in macchina e corsi a scuola.
La
maestra mi venne in contro agitata. “Alice sta male, ma non
riesco
a capire cosa abbia. Le abbiamo misurato la febbre ma ha trentasei e
mezzo. Si lamenta che ha mal di testa e nausea e non riesce a stare
in piedi.” mi spiegò mentre mi accompagnava dalla
mia bambina.
Quando
la vidi capii subito che stava male. Aveva gli occhi velati e la
faccina sofferente.
“Vieni
Alice andiamo a casa. Chiamo subito papà che ti
visiti” le dissi
e aiutata dal bidello la portai in macchina.
Ero
preoccupata. Stava con gli occhi chiusi e il respiro affannoso.
Una
volta a casa la feci mettere a letto e le misurai la febbre ma di
nuovo il termometro indicò che non ne aveva.
Agitata
chiamai Carlisle.
Lui
mi promise che nel giro di venti minuti sarebbe arrivato e mi disse
di richiamarlo se fosse peggiorata.
Ci
mise quasi mezz'ora e quando arrivò lo accolsi con un
sospiro di
sollievo.
Lui
con calma e gentilezza iniziò a visitarla, le
controllò la bocca,
il naso, le orecchie, i polmoni, il cuore, insomma le fece una visita
completa e poi scuotendo la testa mi disse “Non ha nulla. Non
capisco” era perplesso e preoccupato.
“Non
è normale Carlisle” protestai
“La
porto in ospedale. Così le facciamo qualche esame
approfondito”
disse preoccupato.
In
quel momento squillò il telefono e andai a rispondere.
Sul
mio viso dovette apparire un espressione terrorizzata perché
Carlisle si affrettò ad avvicinarsi e ad abbracciarmi.
“Che
succede Esme?” mi chiese quando posai la cornetta.
Lo
guardai stupita “Era la maestra di Edward, dice di andarlo a
prendere che sta male”
Vidi
lo stupore apparire sul suo volto. “Non ti ha detto che cosa
ha?”
mi chiese allarmato.
“No.
Ha detto di andare di corsa che sta malissimo” dissi
guardando
Alice che tremava e sudava come se avesse la febbre alta.
“Vado
a prenderlo io” mi disse. “Se non trovo nulla come
in Alice lo
porto direttamente in ospedale e poi ti chiamo
così mi raggiungi con lei.”
Annui
poco convinta “Edward reagirà male ad andare
là. Lo sai che non
vuole farsi vedere e che ha paura dei medici e delle
ambulanze”
“Se
non trovo nulla, non abbiamo scelta. Chiama a scuola da Emmett e
chiedi come sta.” mi disse mentre prendeva le chiavi della
macchina
e partiva a razzo.
Telefonai
e mi dissero che Emmett stava benissimo. Almeno lui
pensai.
Mandai
un sms a Carlisle e andai a controllare Alice che sembrava stare un
po' meglio.
Si
era addormentata.
Carlisle
Non riuscivo a
capire cosa mai potesse avere Alice e il sospetto che
potesse avere la stessa cosa Edward mi attanagliava.
Quando
arrivai a scuola chiesi di vederlo subito. Mi accompagnarono in
infermeria.
Era
sdraiato su un lettino con una coperta pesante addosso e tremava
violentemente.
Gli
occhi vacui e le guance arrossate mi fecero capire anche senza
toccarlo che aveva la febbre alta.
“Probabilmente
l'aveva da stamattina presto. Ma non ha detto nulla alla maestra, e
quando se ne accorta l'abbiamo subito chiamata” mi
spiegò la
segretaria.
Gli
misi una mano in fronte. Scottava.
“Edward,
come ti senti?” lo chiamai dolcemente.
“Ho
freddo” si lamentò.
“Apri
la bocca per favore” gli chiesi facendogli una carezza. Lui
ubbidì
senza indugio ed io vidi che aveva la gola in fiamme e piena di
placche.
“Hai
un bel mal di gola” gli dissi sorridendo.
Almeno
per lui c'era una spiegazione, pensai sollevato.
Lo
presi e lo portai a casa.
Lì
con Esme gli demmo subito l'antibiotico.
“Bisognerà
dargli la Tachipirina” mi disse Esme mentre lo cambiava e lo
sistemava a letto.
“Si.
Visto la febbre alta sarebbe meglio una supposta” dissi
“Forza
Edward” gli dissi senza prevedere la sua reazione.
Sgranò
gli occhi e iniziò a piangere disperato.
“Va
bene” mi affrettai a dirgli. E feci sparire la scatola.
Aiutato
da Esme gli demmo la pastiglia che inghiottì con
difficoltà.
“Era
meglio prendere la supposta, non credi” lo sgridai mentre
provava
per la terza volta ad ingoiare la pillola.
“No”
mi rispose duro e finalmente riuscì a buttarla
giù.
“Sei
un testone” mugugnai mentre andavo a vedere come stava Alice.
“Come
va, qua?” chiesi ad Esme che le faceva compagnia.
“Mi
sento meglio. Soltanto un po' stordita” mi disse lei
sorridendomi
seduta sul letto.
Annui.
“Vedrai che fra un paio d'ore ti metterai in piedi”
risposi
facendole una carezza.
“Ma
cosa ha avuto?” mi chiese poi Esme mentre andavamo entrambi
da
Edward.
“La
Gemellite” le risposi sorridendo
“E
che cos'è? Non l'ho mai sentita” mi chiese lei
stupita.
Scoppiai
a ridere. “Non esiste Esme. Non so neanche come potrei
definirla in
realtà... diciamo che ha avuto un attacco di
edwardite” dissi,
Esme
strinse gli occhi tra l'offesa e lo stupito.
“Edwardite?” ripeté
come se fosse una parolaccia.
Annui
“Si. Ha sentito che Edward stava male ed essendo la
gemella... è
stata male anche lei” le spiegai.
“I
gemelli si sentono?” mi chiese stupita.
“Si.
Non succede spesso. Ma pare che in alcune coppie esista questo
collegamento a distanza” risposi “E a quanto pare
è la verità”
finii.
“Quindi
se sta male uno... sta male anche l'altro” disse lei.
“Ma allora
quel pomeriggio...” non finii la frase.
“Bisognerebbe
chiederglielo... ma sinceramente non ne ho il coraggio” dissi
a
bassa voce pensando che fosse meglio dimenticare il più
possibile.
La
vidi annuire.
“Hai
ragione. Ma almeno abbiamo scoperto una cosa positiva.” mi
disse
sorridendo
“Quale?”
chiesi stupito
“Se
teniamo d'occhio uno, e come tenerli sotto controllo
entrambi”
disse con una logica a dir poco ferrea.
“A
quanto pare” le diedi ragione sorridendo per il suo intuito.
Ma
se ad Alice nel giro di poche ore passò tutto, ad Edward la
febbre
non accennava a scendere e quella notte gli salì ancora
toccando
quasi i quarantuno .
Ero
preoccupato, la febbre non scendeva malgrado la tachipirina e la
borsa con il ghiaccio sulla sua testa durava pochi minuti prima di
diventare calda.
Verso
le due di notte iniziò a delirare
“Fa
male, brucia...brucia. No … basta... Alice... ho male tanto
male...non è vero... i tuoni... sono un maschio... no
…papà... ti
prego... mamma... lasciate stare la mamma... no le giostre no...
buio... ho freddo tanto freddo...fuoco... brucio... i vestiti...
dove sono i miei vestiti? ”
Quello
che diceva erano frasi smozzicate senza alcun senso logico apparente
ma capimmo che si riferivano ai suoi incubi, a quello che era
successo quel maledetto giorno e chissà a cos'altro.
Per
abbassare la febbre gli misi una supposta di Tachipirina con un
dosaggio più elevato.
Si
agitò tantissimo e si mise a urlare come se lo stessi
spellando
vivo, ma riuscii a metterla malgrado cercasse di opporsi.
Piano
piano la febbre iniziò a scendere a livelli accettabili, ma
gli
incubi iniziarono a torturarlo nuovamente.
Con
gli antibiotici e le pastiglie di Tachipirina riuscimmo a tenere
sotto controllo la febbre e a guarirlo ma non riusciva più a
dormire tranquillo.
Gli
incubi lo assalivano e si svegliava in continuazione gridando e
urlando terrorizzato.
Dopo
due giorni passati a vegliarlo e cercare di tenerlo calmo e
tranquillo per farlo riposare un pochino decidemmo di portarlo nel
lettone a dormire con noi in modo da dargli sicurezza e permettergli
di chiudere gli occhi e dormire un pochino più sereno.
Fu
un errore enorme.
Come
lo adagiai vicino a sua madre, iniziò ad urlare
terrorizzato,
cercando di fuggire.
Ci
mettemmo quasi tutta la notte a calmarlo e solo alle prime luci
dell'alba stremato dalla stanchezza crollò in un dormiveglia
agitatissimo.
Fu
allora che gli somministrai per la seconda volta un sedativo e
finalmente si addormentò come un sasso.
“Non
credevo che andare nel lettone lo sconvolgesse
così” dissi ad Esme
sdraiandomi vicino a lei stanchissimo, grato che gli altri due
bambini fossero andati a scuola accompagnati dalla signora Luisa che
gentilmente si era offerta per aiutarci.
“Avremmo
dovuto saperlo” mi rispose lei accoccolandosi vicino a me.
“Perché
scusa?” gli chiesi mezzo addormentato.
“Perché
l'hanno trovato nel letto vicino a sua mamma morta e perché
non
entra mai nella nostra stanza” mi disse lei.
“Non
ci avevo pensato e non avevo mai notato questo particolare”
le
confidai.
“Io
si. Ed è normale, tu vai a lavorare io sto in casa con
loro” mi
spiegò sbadigliando. “ma c'è una cosa
che mi ha colpito” andò
avanti.
“Cosa?”
chiesi.
“Mentre
delirava... ha parlato di giostre giusto?” disse pensierosa.
“Si
mi sembra di si. Ma non capisco cosa c'entrino” dissi.
“Evidentemente
c'entrano dal momento che odia il Luna Park”
mormorò
“Leggi
troppi libri gialli” la rimproverai scherzando.
“Non
è quello. E' che è strano. Non c'è
alcun motivo per odiare quel posto.” riprese “Come
è strano che tutte
le volte dice di essere un maschio. Chissà che vuol
dire” finii la
frase.
Si
avevo notato anch'io quel particolare.
“Non
so Esme. Ma spero solo che riesca prima o poi a dimenticare”
dissi tristemente.
Mi
aspettavo che mi rispondesse ma si era già addormentata tra
le mie
braccia sfinita.
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