Carlisle
Non
ci fu nemmeno un minuto d'incertezza.
Con
Esme decidemmo di rimanere con loro fino a che non fossimo usciti
tutti assieme per tornare a casa.
Ovviamente
ci eravamo commossi quando i gemelli si erano ritrovati. Alice aveva
abbracciato il fratello dapprima incredula e poi preoccupata nel
vederlo così debole e magro. Ma l'avevo subito
tranquillizzata
assieme ad Edward stesso, che con le lacrime agli occhi dalla
felicità guardava sua sorella come se fosse la cosa
più bella che
esistesse. E la loro reazione non mi stupì affatto ero
infatti certo
che la vicinanza di Alice sarebbe stata la medicina migliore per
farlo guarire, e la nostra presenza la forza per farlo.
Io
ed Esme ci davamo il cambio la notte per non lasciare mai Edward da
solo. Dormivamo su una poltrona vicino a lui e vicino ad Alice che
aveva ottenuto con facilità di avere un lettino al suo
fianco.
Non
volevamo che Edward potesse temere di essere stato abbandonato
nuovamente, aveva bisogno di sapere che sarebbe tornato a casa, per
guarire. La sua malattia infatti era di origine nervosa e solo la
sicurezza e la volontà di guarire avrebbe realizzato il
nostro
sogno. Infatti ne lui ne la piccola Alice, che quando mi aveva visto
si era gettata fra le mie braccia piangendo di felicità,
dovevano
avere il minimo dubbio. Entrambi avevano solo bisogno di sentirci
vicino e la sicurezza di non essere nuovamente abbandonati in quel
posto che ero certo odiavano.
Stavamo
vicino al nostro bambino tutto il giorno nutrendolo con
piccolissime quantità di cibo frequentemente in modo da
allargagli
lo stomaco pian piano. Sembrava un uccellino spaurito e caduto dal
nido quando apriva le labbra all'avvicinarsi del cucchiaio. Ma lo
faceva, vincendo la paura di sentirsi male, si faceva
imboccare sorridente e felice delle nostre
attenzioni.
Ma tuttavia era la
notte quando entrambi avevano più bisogno di
sicurezza. Specialmente Edward era agitato e non riusciva ad
addormentarsi, oppure farfugliava nel sonno frasi incomprensibili.
A volte addirittura piangeva mentre dormiva e quando si svegliava
continuava incapace di arginare quel fiume di lacrime per noi
inspiegabile. E solo la nostra vicinanza sembrava donargli una
certa calma. Provammo a chiedergli di raccontarci i suoi incubi per
esorcizzarli ma non ci fu nulla da fare. Ci diceva che non voleva
ricordarli, mentre si faceva cullare e coccolare dalle nostre
braccia, guardando Alice che dormiva serena a pochi centimetri da
lui.
Di
giorno invece iniziò ad aumentare i periodi di veglia
riprendendo
gradatamente le forze e il sorriso mentre aumentavamo la
quantità
di cibo e distanziavamo i pasti.
Si
sforzava di trattenere tutto con una caparbietà
impressionante e
più ci riusciva, più il suo stomaco si allargava
ed era in grado
di contenere di più e più vario.
Dopo
quattro giorni provammo con del cibo normale e malgrado facesse
fatica riuscì a trattenerlo.
Aveva
una gran voglia di uscire di lì e la vicinanza di Alice e la
sua
allegria fu di enorme aiuto.
Lei
non si staccava mai dal fratello, non si allontanava mai e lo
cambiava aiutata dall'infermiera mentre noi ci allontanavamo per
rispettare la sua timidezza nei nostri confronti.
Non
volevamo forzarlo a fare qualcosa di più di quello che
già stava
facendo. Non c'era fretta... avremmo aspettato che fosse pronto a
lasciarsi andare del tutto. L'importante adesso era che si
riprendesse e si rilassasse consapevole che presto sarebbe tornato a
casa.
E
lui faceva di tutto per accelerare la sua guarigione e finalmente
al quinto giorno gli levai la flebo che avevo lasciato per nutrirlo
maggiormente e il giorno successivo riuscì anche a stare un
pochino in piedi appoggiato alla mamma.
Passò
un altro giorno e quando quella mattina si svegliò tutto
sorridente, mi guardò serio e mi disse “Adesso sto
bene, voglio andare a casa”.
Annui.
Non aspettavo altro. Era migliorato tantissimo e sapevo che deluderlo
avrebbe potuto farlo ricadere in una spirale negativa, quindi lo
lasciai con Alice ed Esme e andai a cercare la Direttrice.
“Portatetelo
pure a casa dottor Cullen e grazie di tutto” ci disse lei
dopo che
le ebbi spiegato le mie intenzioni.
Io
scossi la testa “Spero che questo sia stato di
lezione” risposi
duro. Avevo ancora tanta amarezza dentro per come erano stati
trattati i miei bambini.
“Perdoni Signor
Cullen. La rabbia non serve a nulla e poi sarà Dio a
giudicare” mi rispose a occhi bassi.
“Io
posso anche perdonare, ma certa gente non dovrebbe più
permettersi
di fare tanto male” risposi acido ripensando agli errori
commessi
in tutta quella storia.
“Certa
gente non lavorerà più. La dottoressa Smart non
solo ha dato le
dimissioni, ma mi ha assicurato che si ritirerà dalla
professione. Credo che abbia capito e che non si perdonerà
molto facilmente per
l'errore fatto. A volte i nostri errori, anche se troviamo il modo
di porvi rimedio, ci segnano per sempre e restano a farci compagnia
come fantasmi... fino alla fine.” mi disse con un sorriso
triste
che le increspava il bel volto.
Rimasi
in silenzio imbarazzato, non sapevo cosa risponderle. Sapevo dentro
di me che aveva ragione e che la nostra storia avrebbe cambiato tante
cose, forse anche il modo di affrontare i problemi da parte sua.
“Adesso vada
è ora che ritorniate a casa, quei bambini hanno bisogno del
vostro amore, e di sicurezza” finii mettendomi in mano dei
fogli.
Li
aprii circospetto e strabuzzai gli occhi, erano i certificati di
adozione definitivi.
“Grazie”
le dissi emozionato stringendo i fogli al petto come se potessero
sparire da un minuto all'altro.
“Adesso
sono i suoi figli a tutti gli effetti... e lo saranno per sempre. Non
se lo dimentichi.” rispose con un caldo sorriso, poi mi
strinse la
mano decisa e si girò sparendo nel suo studio.
Con
il cuore in gola dalla gioia corsi a dare alla mia famiglia la lieta
notizia.
Si
adesso eravamo finalmente una famiglia anche di fronte alla legge.
Esme
Tornammo
a casa e avevo paura delle conseguenze che quel periodo nefasto
poteva avere creato.
Ma
i gemelli ebbero la capacità di stupirmi ancora una volta.
Speravo
che quei dolorosi giorni non avessero fatto troppi danni ma con mia
sorpresa le cose cambiarono... in meglio.
Edward
era ancora debole ma non volle saperne di stare a letto. E
già
quella sera si volle sedere a tavola con noi.
Avevo
preparato una minestra e nella sua ci avevo mischiato un uovo e dei
pezzetti di carne visto che ne avrebbe mangiato solo pochi
cucchiai... volevo fosse energetica. Noi avremmo mangiato anche il
secondo e altre portate ma lui riusciva a mangiare ancora piccole
quantità.
Quando
gliela misi davanti feci per prendere il cucchiaio e imboccarlo come
avevamo fatto all'orfanotrofio per tutto quel periodo ma lui scosse
la testa “No mamma” mormorò con un filo
di voce.
Tirai
indietro la mano triste.
Forse
non se la sentiva di mangiare pensai preoccupata.
Ma
con una lentezza esasperante lo vidi prendere il cucchiaio e
portarselo alla bocca da solo.
Dopo aver ingoiato alzò gli occhi su di noi e con le guance in fiamme e lo sguardo determinato mormorò “Ti avevo fatto una promessa mamma, ricordi?” disse fissandomi con i suoi smeraldi splendenti.
Dopo aver ingoiato alzò gli occhi su di noi e con le guance in fiamme e lo sguardo determinato mormorò “Ti avevo fatto una promessa mamma, ricordi?” disse fissandomi con i suoi smeraldi splendenti.
Mi
sentivo gli occhi pungere. Certo che ricordavo. Ricordavo
perfettamente tutto quello che era successo, ogni sua singola parola
che aveva pronunciato avvinghiato a me. E in preda alla commozione mi
alzai voltandomi per non farmi vedere piangere “ Certamente
Edward, sei bravissimo, mangiala che ti viene fredda” risposi
mentre mi asciugavo le lacrime, che non volevano smettere di uscire,
con il grembiule.
“Bravo
Edward” mi fece eco Carlisle facendogli una carezza sulla
testa e
sorridendogli soddisfatto e orgoglioso di lui e della sua conquista.
Ma
se pensavo che le sorprese finissero lì mi sbagliavo di
grosso.
Per
la prima volta Edward andò in bagno da solo a mettersi il
pigiama
liberando così Alice dai suoi compiti.
Ero
preoccupata per la sorella, avevo paura risentisse di quell'autonomia
ritrovata così all'improvviso, ma lei invece gli faceva i
complimenti incoraggiandolo e abbracciandolo tutta felice ad ogni
piccola conquista.
Forse
tutto il male che avevamo patito era servito a qualcosa.
Lui
era diventato più indipendente oltre ad aver iniziato a
parlare.
Non
che fosse un chiacchierone, probabilmente era nel suo carattere
essere silenzioso, ma almeno adesso potevamo comunicare più
facilmente.
Fu
al momento di andare a dormire che vennero fuori i problemi.
Alice
non voleva lasciare Edward andare in camera sua.
In
effetti per tutti quei giorni non si erano allontanati un attimo
felici di essersi finalmente ritrovati, e adesso lei non riusciva a
staccarsi da lui.
Seduto
sul bordo del letto della gemella, Edward gli teneva la mano e
cercava di rassicurarla e convincerla.
Voleva
mantenere in tutto la promessa che mi aveva fatto.
“Edward
fa lo stesso. Se vuoi dormire qui, fai pure. Ti portiamo un materasso
così non prendi freddo” gli dissi comprensiva e
preoccupata che
debole com'era potesse prendersi un raffreddore.
Ma
lui scosse la testa.
“Alice
non vado lontano. E domani mattina staremo ancora insieme” le
ripeteva dolcissimo per convincerla a lasciarlo andare nella sua
stanza.
Ma
gli occhi spaventati di Alice parlavano per lei.
“Edward.
Vai. Alice sto qua io con te, almeno finché non ti
addormenti e se
ti svegli mi chiami” gli disse dolcemente Carlisle
accarezzandole
la testa.
“Stai
qui? Davvero?” gli chiese conferma lei stupita e speranzosa.
“Certamente
bambina mia” confermò lui.
Lei
allora sorrise ad Edward che si affrettò ad andare nella sua
camera
seguito da me.
Diedi
il bacino della buona notte ad Emmett che era già a letto
che ci
aspettava e sorprendendomi nuovamente se lo fece dare per la prima
volta anche Edward. Poi chiusi la luce e feci per allontanarmi, ma
un singhiozzo soffocato mi bloccò sullo stipite.
“Edward
piangi?” chiesi a bassa voce per non disturbare Emmett mentre
mi
avvicinavo nuovamente al suo letto preoccupata.
Gli
feci una carezza sulla guancia e mi sentì bagnare le mani.
Voleva
mantenere la sua promessa, aveva fatto il duro con Alice ma era in
crisi proprio come la sorella.
“Cosa
c'è, tesoro?” gli chiesi dolcemente
“Ho
paura.” mormorò appena
“Di
cosa Edward?” gli sussurrai
“Degli
incubi e di loro, degli uomini cattivi” rispose tirando su
con il
naso.
Non
riuscivo a capire a cosa si riferisse con precisione ma la voce
tremante m'indicava che non era un capriccio. C'era un qualcosa che
lo spaventava sul serio.
“Vuoi
che stia qui con te?” gli chiesi dolcemente prendendogli una
mano.
Lo
vidi annuire nella penombra del corridoio e abbassare gli occhi
imbarazzato mentre si stringeva al petto più forte Tigro.
Mi
sedetti sul bordo del letto senza mollare la sua mano mentre con
l'altra gli facevo le coccole fra i suoi morbidi capelli, poi
sussurrando iniziai a cantargli una dolce melodia fino a che non lo
sentii rilassarsi e piombare nel sonno.
Quando
fui sicura che si fosse addormentato profondamente mi diressi in
camera dove trovai Carlisle a letto che leggeva.
“Finalmente
si è addormentato anche Edward” dissi al mio amore
sistemandomi
comodamente fra le sue braccia.
“Aveva
paura anche lui?” mi chiese dandomi un bacio sul collo.
“Si.
Ha parlato degli uomini cattivi. Credo che quando era in orfanotrofio
abbia avuto degli incubi, per questo era sempre così agitato
nel
sonno” raccontai.
“Non
mi stupisce. Probabilmente per entrambi è stato un grosso
trauma
quello che hanno passato. Il venir strappati via da noi deve averli
spaventati non poco.” finii lui.
“Speriamo
che si tranquillizzino presto” continuai preoccupata.
“Ci
vorrà tempo Esme. Ma vedrai che lo stare qua farà
sicuramente bene
ad entrambi e presto si rilasseranno dimenticandosi dell'accaduto.
Edward ha già fatto dei grossi passi avanti e sono sicuro
che le
cose potranno solo migliorare” mi rispose Carlisle fiducioso.
Non
potevo che essere d'accordo e presto ci addormentammo abbracciati
finché un urlo disperato risuonò fra le pareti di
casa.
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