martedì 12 febbraio 2013

Capitolo 29 Alice

Alice

Non mi importava più di vivere.
Non mi importava più di nulla.
Mi avevano strappato alla mia nuova famiglia.
Mi avevano strappato da Edward.
Ero sola.
Sola e abbandonata da tutti quelli che amavo.
Loro volevano che giocassi, ridessi e parlassi... ma a me non interessava.
Nulla interessava.
Volevo solo morire.
Volevo solo essere dimenticata.
Non mi interessava la vita, non avevo motivi per viverla.
E il tempo scivolava via
E le notti passavano senza trovare la pace del sonno
E i giorni volavano senza che il mio animo volasse con loro.
Nulla aveva importanza, nulla m'interessava più.

Quando eravamo entrati in quel posto volevano separarci subito. Io disperata avevo guardato Edward negli occhi chiedendo il suo aiuto, stringendo a me la sua mano, pronta a lottare per non farci dividere. Ma lui mi aveva sorriso dolcissimo. Con la mano libera mi aveva accarezzato la guancia guardandomi con gli occhi lucidi di lacrime come i miei. Però nei suoi occhi vi potevo leggere la speranza e la certezza che presto saremmo tornati a casa, che presto saremmo stati nuovamente assieme. Lui non parlava mai. Da quanto lo avevo travato in ospedale non mi aveva più parlato. Ma stavolta le sue labbra sussurrarono alle mie orecchie. “Non aver paura Alice. Loro ci verranno a prendere presto. Me lo hanno promesso. E noi staremo di nuovo assieme. Non devi piangere... loro non lo vorrebbero. Ci rivedremo presto, ne sono sicuro.”.
Mi ero scostata stupita dal risentire la sua voce che risuonava sicura e tranquilla. Lo avevo guardato. Era certo, sicuro di quello che diceva ed allora avevo annuito e dato la mano alla signora che mi aveva portato nella mia nuova stanza.
Non lo avevo più rivisto.
Dopo due notti passate a singhiozzare sola e spaventata avevo chiesto di poterlo vedere, avevo pianto e urlato al loro diniego. Ma non c'era stato nulla da fare. Potevo vedere gli altri bambini, ma non mio fratello. Potevo giocare con gli altri ma non con lui. E i giorni passavano tutti uguali mentre la speranza che tutto tornasse come prima, la certezza di rivedere presto lui e i nostri genitori si perdeva dentro di me, travolta dalla cruda realtà. Ci avevano mentito, ci avevano ingannato e dimenticato. Ero sola, sola e abbandonata da chi mi voleva bene. Nessuno sarebbe più venuto a prendermi. Nemmeno Edward. Ed ero stanca di sperare, troppo disperata per combattere, per illudermi ancora. Meglio lasciarsi andare, meglio dimenticare... dimenticare tutti loro...perché ricordare e sperare faceva male, troppo male.

Ero li seduta sulla sedia. Tutte le mattine mi sedevano su quella sedia davanti alla finestra.
Vedevo gli altri bambini giocare, sapevo che avrei dovuto andare con loro a divertirmi.
Ma non mi importavano i loro giochi, le loro risa. Edward non era con loro.
Io volevo la mia famiglia, io volevo Edward.
La signora che si prendeva cura di me mi stava pettinando.
Lei era gentile con me, mi trattava bene e mi parlava senza che io le avessi mai risposto.
Non avevo voglia di parlarle, non avevo voglia di fare nulla. Mi sentivo debole, svuotata, volevo solo dormire e dimenticare.

La mano lieve e gentile della signora passò tra i miei capelli in una muta carezza.
Alice” sentii chiamarmi.
Avrei voluto piangere. L'aveva detto con una dolcezza che mi ricordava la mia mamma Esme.
Una fitta al cuore.
Ogni volta che pensavo a loro era sempre così. Non dovevo pensare a loro, non volevo ricordare.
Non reagi e non mi voltai. Non volevo soffrire ancora.
Alice” di nuovo quella voce così calda e materna.
Di nuovo una carezza delicata fra i miei capelli.
Voltati Alice. Io sono qua” la voce mi chiamò.
Non capivo, avevo spesso immaginato di rivederli ma adesso sentivo anche le loro voci.
Stavo impazzendo e lo sapevo.
Chiusi gli occhi.
Però quella voce mi piaceva... parlami, parlami ancora. Sperai.
Alice girati” mi chiamò ancora dolcemente.
Perché non darle retta? Perché non ubbidirle?
Forse se mi fossi girata mi avrebbe parlato ancora. E io volevo ascoltarla, volevo sentire la sua dolcezza, il suo amore nel dire il mio nome.
Lentamente forzai il mio collo a voltarsi, i miei muscoli a tendersi.
Avevo dimenticato come si faceva a muovere il proprio corpo.
Apri gli occhi. Guardami” si era proprio la voce della mia mamma Esme.
Aprii piano gli occhi. Non volevo farlo ma la voce me lo aveva chiesto.
E se non avessi obbedito forse avrebbe taciuto e io volevo sentirla, volevo illudermi ancora una volta.
Aprii gli occhi e la vidi.
Li richiusi subito spaventata.
Non era possibile.
Era tutto una mia fantasia.
Lo sapevo che ero impazzita, avevo sentito il medico dirlo, ma io mi sentivo sempre uguale.
Sono qui Alice. Siamo venuti a prenderti. Guardami Alice, sono qua” mi diceva.
Siamo venuti a prenderti?
Forse era un angelo
Forse alla fine ero morta.
E se ero morta non dovevo avere paura ad aprire gli occhi.
Li aprii di nuovo lentamente, molto lentamente e vidi la mia mamma Esme sorridere.
Mamma” dissi e scoppiai a piangere.
Perché lei era lì, perché lei era vera e non mi aveva abbandonato.
Si Alice sono qua. Carlisle è di là con Edward che non sta bene. Ma vi porteremo a casa, ritornerete da noi” mi disse abbracciandomi e unendo le sue lacrime alle mie.
Edward” mormorai, il mio Edward…il mio fratellino.
Non mi aveva abbandonato... lui non stava bene. Ed io avrei dovuto saperlo.
Voglio andare da lui” le chiesi sperando che mi accontentasse. Troppe volte mi era stato negata la possibilità di stare con lui. Avevo pianto e urlato quando avevo capito che non l'avrei più rivisto, ma era stato tutto inutile. Non avrei retto un altro rifiuto. Avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino, di stringere la sua mano così simile alla mia, di sapere che era ancora vivo. Da quando la mia vera famiglia era stata distrutta, lui era l'unica cosa che mi era rimasta, l'unica boa che mi aveva impedito di andare alla deriva in tutti quei mesi. E con immensa gioia la vidi annuire.
Adesso ti aiuto ad alzarti e se riesci a stare in piedi ti accompagnerò da lui. Ha bisogno di te.” mi disse prendendomi le mani e facendomi alzare sotto gli occhi allibiti dell'infermiera.
Edward aveva bisogno di me, ed io avevo bisogno di lui. Dovevo andare, nulla avrebbe più potuto fermarmi.
Mi sentivo debole, dolorante dentro, e la testa mi girava ma non importava avevo ritrovato la mia famiglia e mio fratello, e con una volontà che non sapevo di avere, con la nausea per compagna, appoggiata alla mia mamma passo dopo passo andai a raggiungere il mio Edward.
Lo avevo già aiutato a vivere una volta, adesso lo avrei fatto nuovamente.
Nessuno ci avrebbe più separato. Non lo avrei mai più permesso. Mai più. Mai!!

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