Alice
Non
mi importava più di vivere.
Non
mi importava più di nulla.
Mi
avevano strappato alla mia nuova famiglia.
Mi
avevano strappato da Edward.
Ero
sola.
Sola
e abbandonata da tutti quelli che amavo.
Loro
volevano che giocassi, ridessi e parlassi... ma a me non
interessava.
Nulla
interessava.
Volevo
solo morire.
Volevo
solo essere dimenticata.
Non
mi interessava la vita, non avevo motivi per viverla.
E
il tempo scivolava via
E
le notti passavano senza trovare la pace del sonno
E
i giorni volavano senza che il mio animo volasse con loro.
Nulla
aveva importanza, nulla m'interessava più.
Quando
eravamo entrati in quel posto volevano separarci subito. Io disperata
avevo guardato Edward negli occhi chiedendo il suo aiuto, stringendo
a me la sua mano, pronta a lottare per non farci dividere. Ma lui mi
aveva sorriso dolcissimo. Con la mano libera mi aveva accarezzato
la guancia guardandomi con gli occhi lucidi di lacrime come i miei.
Però nei suoi occhi vi potevo leggere la speranza e la
certezza che
presto saremmo tornati a casa, che presto saremmo stati nuovamente
assieme. Lui non parlava mai. Da quanto lo avevo travato in
ospedale non mi aveva più parlato. Ma stavolta le sue labbra
sussurrarono alle mie orecchie. “Non aver paura Alice. Loro
ci
verranno a prendere presto. Me lo hanno promesso. E noi staremo di
nuovo assieme. Non devi piangere... loro non lo vorrebbero. Ci
rivedremo presto, ne sono sicuro.”.
Mi
ero scostata stupita dal risentire la sua voce che risuonava sicura e
tranquilla. Lo avevo guardato. Era certo, sicuro di quello che diceva
ed allora avevo annuito e dato la mano alla signora che mi aveva
portato nella mia nuova stanza.
Non
lo avevo più rivisto.
Dopo
due notti passate a singhiozzare sola e spaventata avevo chiesto di
poterlo vedere, avevo pianto e urlato al loro diniego. Ma non c'era
stato nulla da fare. Potevo vedere gli altri bambini, ma non mio
fratello. Potevo giocare con gli altri ma non con lui. E i giorni
passavano tutti uguali mentre la speranza che tutto tornasse come
prima, la certezza di rivedere presto lui e i nostri genitori si
perdeva dentro di me, travolta dalla cruda realtà. Ci
avevano
mentito, ci avevano ingannato e dimenticato. Ero sola, sola e
abbandonata da chi mi voleva bene. Nessuno sarebbe più
venuto a
prendermi. Nemmeno Edward. Ed ero stanca di sperare, troppo disperata
per combattere, per illudermi ancora. Meglio lasciarsi
andare, meglio dimenticare... dimenticare tutti
loro...perché
ricordare e sperare faceva male, troppo male.
Ero
li seduta sulla sedia. Tutte le mattine mi sedevano su quella sedia
davanti alla finestra.
Vedevo
gli altri bambini giocare, sapevo che avrei dovuto andare con loro a
divertirmi.
Ma
non mi importavano i loro giochi, le loro risa. Edward non era con
loro.
Io
volevo la mia famiglia, io volevo Edward.
La
signora che si prendeva cura di me mi stava pettinando.
Lei
era gentile con me, mi trattava bene e mi parlava senza che io le
avessi mai risposto.
Non
avevo voglia di parlarle, non avevo voglia di fare nulla. Mi sentivo
debole, svuotata, volevo solo dormire e dimenticare.
La
mano lieve e gentile della signora passò tra i miei capelli
in una
muta carezza.
“Alice”
sentii chiamarmi.
Avrei
voluto piangere. L'aveva detto con una dolcezza che mi ricordava la
mia mamma Esme.
Una
fitta al cuore.
Ogni
volta che pensavo a loro era sempre così. Non dovevo pensare
a loro,
non volevo ricordare.
Non
reagi e non mi voltai. Non volevo soffrire ancora.
“Alice”
di nuovo quella voce così calda e materna.
Di
nuovo una carezza delicata fra i miei capelli.
“Voltati
Alice. Io sono qua” la voce mi chiamò.
Non
capivo, avevo spesso immaginato di rivederli ma adesso sentivo anche
le loro voci.
Stavo
impazzendo e lo sapevo.
Chiusi
gli occhi.
Però
quella voce mi piaceva... parlami, parlami ancora.
Sperai.
“Alice
girati” mi chiamò ancora dolcemente.
Perché
non darle retta? Perché non ubbidirle?
Forse
se mi fossi girata mi avrebbe parlato ancora. E io volevo ascoltarla,
volevo sentire la sua dolcezza, il suo amore nel dire il mio nome.
Lentamente
forzai il mio collo a voltarsi, i miei muscoli a tendersi.
Avevo
dimenticato come si faceva a muovere il proprio corpo.
“Apri
gli occhi. Guardami” si era proprio la voce della mia mamma
Esme.
Aprii
piano gli occhi. Non volevo farlo ma la voce me lo aveva chiesto.
E
se non avessi obbedito forse avrebbe taciuto e io volevo sentirla,
volevo illudermi ancora una volta.
Aprii
gli occhi e la vidi.
Li
richiusi subito spaventata.
Non
era possibile.
Era
tutto una mia fantasia.
Lo
sapevo che ero impazzita, avevo sentito il medico dirlo, ma io mi
sentivo sempre uguale.
“Sono
qui Alice. Siamo venuti a prenderti. Guardami Alice, sono
qua” mi
diceva.
Siamo
venuti a prenderti?
Forse
era un angelo
Forse
alla fine ero morta.
E
se ero morta non dovevo avere paura ad aprire gli occhi.
Li
aprii di nuovo lentamente, molto lentamente e vidi la mia mamma
Esme sorridere.
“Mamma”
dissi e scoppiai a piangere.
Perché
lei era lì, perché lei era vera e non mi aveva
abbandonato.
“Si
Alice sono qua. Carlisle è di là con Edward che
non sta bene. Ma vi
porteremo a casa, ritornerete da noi” mi disse abbracciandomi
e
unendo le sue lacrime alle mie.
“Edward”
mormorai, il mio Edward…il mio fratellino.
Non
mi aveva abbandonato... lui non stava bene. Ed io avrei dovuto
saperlo.
“Voglio
andare da lui” le chiesi sperando che mi accontentasse.
Troppe
volte mi era stato negata la possibilità di stare con lui.
Avevo
pianto e urlato quando avevo capito che non l'avrei più
rivisto, ma
era stato tutto inutile. Non avrei retto un altro rifiuto. Avevo
bisogno di lui, di sentirlo vicino, di stringere la sua mano
così
simile alla mia, di sapere che era ancora vivo. Da quando la mia
vera famiglia era stata distrutta, lui era l'unica cosa che mi era
rimasta, l'unica boa che mi aveva impedito di andare alla deriva in
tutti quei mesi. E con immensa gioia la vidi annuire.
“Adesso
ti aiuto ad alzarti e se riesci a stare in piedi ti
accompagnerò da
lui. Ha bisogno di te.” mi disse prendendomi le mani e
facendomi
alzare sotto gli occhi allibiti dell'infermiera.
Edward
aveva bisogno di me, ed io avevo bisogno di lui. Dovevo andare, nulla
avrebbe più potuto fermarmi.
Mi
sentivo debole, dolorante dentro, e la testa mi girava ma non
importava avevo ritrovato la mia famiglia e mio fratello, e con una
volontà che non sapevo di avere, con la nausea per compagna,
appoggiata alla mia mamma passo dopo passo andai a raggiungere il
mio Edward.
Lo
avevo già aiutato a vivere una volta, adesso lo avrei fatto
nuovamente.
Nessuno
ci avrebbe più separato. Non lo avrei mai più
permesso. Mai più.
Mai!!
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