Capitolo
68 Una decisione sofferta
Carlisle
Mentre
me lo abbracciavo ancora incredulo di poterlo stringere a me ripensai
a quello che era successo in quell'ultima ora.
Finalmente
aveva parlato. Aveva spiegato tutto ad Alice, lo aveva fatto in preda
all'ira ma soprattutto alla vergogna. Vergogna che aveva rischiato di
portarlo via da noi per sempre.
Aveva
ricordato e aveva tirato fuori quello che gli era successo. Dolore e
sconcerto avevano accompagnato il suo racconto mentre mi rendevo
conto che oltre al terrore di subire di nuovo violenza dal suo
aguzzino c'era la vergogna e la paura dettate dal non sentirsi
maschio fino in fondo.
Lo
tenevo stretto a me e lo sentivo piangere disperato.
Non
era la prima volta, ma stavolta sentivo crescere dentro di me un
sentimento diverso dal solito, una rabbia cieca e profonda alimentata
da tutti quegli anni di sofferenza.
Cosa
sperava di ottenere piangendo??
Probabilmente
si stava solo sfogando, ma poi??
Saremmo
tornati da punto a capo, presto sarebbero tornati i suoi tormenti ma
soprattutto si sarebbe vergognato ancora di più per quello che ci
aveva infine confessato.
Avevo
paura della sua reazione, paura di quello che avrebbe potuto fare
nuovamente.
Avevo
rischiato di perderlo e non potevo più farlo, troppe volte ormai mi
ero spaventato per lui.
Non
potevamo vivere con l'incubo che ci riprovasse, che tentasse
nuovamente il suicidio o peggio ancora che finisse per assuefarsi a
psicofarmaci per riuscire a convivere con se stesso.
Era
giunto il momento di affrontare le sue paure, di essere uomo malgrado
lui temesse di non esserlo abbastanza.
Quello
che aveva rivelato mi aveva scioccato.
Avendolo
visto nudo, avendolo spogliato più di una volta sapevo che era in
apparenza normale. Per quello che ne sapevo il suo apparato genitale
era in perfetto ordine.
Ma
se il problema non era fisico cosa lo bloccava? Sapevo la risposta e
sapevo anche che non sarebbe servito che gli parlassi, che gli
spiegassi. Non si sarebbe fidato, non mi avrebbe mai creduto.
Quello
che aveva passato lo aveva reso insicuro e psicologicamente debole
ma doveva trovare il modo di venirne fuori una volta per tutte.
Non
potevo levargli la paura e l'orrore per quello che aveva passato ma
potevo intervenire a livello fisico. Potevo dimostrargli che
quell'uomo gli aveva mentito.
Lo
guardai di sottecchi, non gli sarebbe piaciuto, probabilmente avrebbe
sofferto ancora, ma non c'era che un modo.
E
lasciatolo seduto sulla spiaggia a piangere e a vestirsi presi il
cellulare e mi allontanai.
Era
il momento di chiedere aiuto e solo il mio amico Danny avrebbe potuto
tirarlo fuori dall'incubo nel quale era precipitato.
Edward
Avevo
pianto finché le lacrime erano finite. Mi vergognavo, ancora una
volta era quel sentimento odioso che mi faceva compagnia a dominare
il mio animo.
Mi
ero vestito e stavo rannicchiato per cercare di scaldarmi mentre il
sole era ormai sparito dietro l'orizzonte. I miei occhi ormai
asciutti e bruciati dal sale fissavano la grande distesa d'acqua in
perenne movimento nel quale avrei voluto scomparire.
Mio
padre era al cellulare che parlava ormai da parecchio tempo,
camminando agitato e turbato lontano da me.
Le
sue parole si perdevano nel vento e ancora una volta mi chiesi con
chi fosse al telefono dal momento che aveva già chiamato la mamma.
Forse
stava parlando con il responsabile di un manicomio, forse mi avrebbe
fatto ricoverare e sottoporre a qualche terapia.
Non
volevo andare là, non volevo venire stordito da qualche psicofarmaco
che mi avrebbe bruciato il cervello... ma non volevo neanche vivere
così.
Dopo
quello che avevo raccontato non avrei più avuto il coraggio di
guardare in faccia nessuno, nemmeno i miei fratelli.
Quanto
dolore avevo causato? Quanto ne stavo ancora causando?? Fra i
capelli biondi di mio padre potevo scorgere diversi fili bianchi ed
ero sicuro di esserne io la causa.
Lo
vidi venire verso di me risoluto, i suoi occhi bruciavano, era
arrabbiato, furioso come non l'avevo mai visto.
“Forza,
alzati andiamo in un posto” mi disse e il suo tono non ammetteva
repliche.
Lo
guardai spaventato ma non dissi nulla. Qualsiasi cosa avesse deciso,
qualsiasi cosa volesse fare di me, lo avrei assecondato.
Non
gli risposi ma lo segui in silenzio e a testa bassa.
Senza
una parola ritornammo indietro ma invece di entrare in casa mi fece
salire sulla sua macchina e partì.
Non
sapevo dove eravamo diretti, ma ovunque fosse ero certo che non
sarei tornato indietro. Avrei voluto salutare Alice e mia madre ma
non chiesi nulla. Non avevo diritto a chiedere nulla.
Sentivo
che lo avevo deluso una volta di troppo e adesso eravamo arrivati al
limite, e avrei accettato qualsiasi sua decisione, ero troppo stanco
e sfinito di combattere una battaglia che avevo perso fin
dall'inizio.
La
sera era calata intorno a noi e lui stava guidando da venti minuti
quando esausto da quella lunga giornata chiusi gli occhi e appoggiai
la testa al sedile sperando di non rivedere ancora una volta quelle
scene terribili che non mi lasciavano mai solo.
Qualcosa
di caldo si appoggiò alla mia pancia facendomi sobbalzare, aprii un
occhio spaventato e vidi il mio Tigro.
Papà
mi aveva posato Tigro in braccio.
Lo
guardai sorridendo incerto e imbarazzato ancora una volta, grato per
quel gesto d'amore.
“Ci
metteremo ancora un po'. Cerca di dormire se riesci, devi essere
stanco” mi disse sorridendomi per la prima volta.
Annui
e chiusi gli occhi cullato dal movimento della macchina e dalla
musica della radio che aveva acceso.
Carlisle
Era
stanco e si stava addormentando. Insieme ai suoi vestiti avevo
recuperato Tigro dalla scogliera, lo presi e glielo misi in grembo.
Sapevo che malgrado fosse grande continuava a dormire abbracciato a
lui e volevo dargli un po' di conforto.
Mi
sorrise e si addormentò.
Ancora
una volta mi chiesi se stavo facendo bene, se la mia scelta era
giusta ma non vedevo altre vie d'uscita, altri modi per aiutarlo.
Lui
mi aveva seguito silenzioso e ubbidiente. Vedevo la tristezza, la
vergogna e la paura nei suoi occhi. Ma si fidava di me...
Per
un attimo mi venne voglia di fermarmi, girare la macchina e
riportarlo a casa.
Mi
sentivo un lurido traditore... sapevo che rischiavo di perdere la sua
fiducia, forse per sempre.
Ma
questo era l'unica cosa da fare, l'altra alternativa era aspettare
la sua prossima crisi, il suo prossimo tentativo di suicidio... e
questo non lo potevo permettere.
E
chiudendo il cuore lo portai all'appuntamento con il suo destino
Bella
Tornai
a casa che era già buio.
Mi
buttai sul letto e presi i libri ma qualcosa mi impediva di studiare.
La
lista di Charlie continuava a girarmi in testa. Avevo acceso il
cellulare e riletta diverse volte.
Sapevo
che c'era qualche particolare che mi stava sfuggendo, particolare che
invece Charlie aveva notato.
Ripensai
al racconto della loro storia ma non riuscivo a collegarlo con quanto
avevo letto.
Decisa
presi il telefono e chiamai casa Cullen volevo parlare con Alice.
“Pronto
sono Bella” dissi tranquillamente ben lontana dall'immaginare ciò
che era accaduto e che stava accadendo in quelle ore.
“Ciao
Bella. Sono Esme” mi rispose sua madre.
Rimasi
ferma allibita, la sua voce era irriconoscibile
“C'è
Alice?” chiesi dubbiosa
“Si.
Ma non te la posso passare. Non sta bene” mi rispose con una voce
spaventosa.
“E'
per via di Edward?” chiesi all'improvviso conscia che probabilmente
era successo qualcosa al fratello.
L'avevo
sfidato e mi avevano detto che la mia vicinanza gli faceva male,
collegai sentendomi sprofondare.
“Si”
fu la risposta monocorde.
Lei
sempre così allegra e sorridente, sembrava l'ombra di se stessa.
“E'
colpa mia… mi spiace” scoppiai a piangere sentendomi un verme.
“No.
Bella. Non sei tu. Ma... è difficile spiegare.” cerco di
rassicurarmi, poi prima che potessi rispondere aggiunse “Scusa ma
devo lasciare il telefono libero. Sto aspettando una telefonata di
Carlisle. Ma sta tranquilla Alice è con Jasper. Ci sta pensando
lui a lei” e senza aspettare una mia risposta mise giù.
Rimasi
con il telefono in mano a guardarlo come una sciocca. Aveva fretta,
decisamente.
Era
inutile insistere, nessuno mi avrebbe detto nulla... ma l'indomani
mattina Alice sarebbe stata a scuola.
Dovevo
parlare con lei, dovevo raccontarle della lista di Charlie e forse
lei conoscendo tutto mi avrebbe aiutato a risolvere il mistero.
E
agitata e preoccupata provai a chiudere occhio.
Chissà
perché Carlisle avrebbe dovuto telefonarle?? Cosa stava succedendo e
dove era andato Charlie di corsa? E con questi pensieri in testa
mi addormentai sperando l'indomani di trovare le risposte alle mie
domande.
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