Capitolo
69 Da Danny (Raiting Rosso)
Edward
Quando
arrivammo a destinazione era ormai scesa la notte e dopo aver
posteggiato Carlisle mi svegliò e mi condusse dentro ad un
edificio.
Con
calma, senza dirmi una parola di spiegazione, suonò ad un
appartamento.
“Ciao
Danny” disse stringendo la mano calorosamente all'uomo che ci aveva
aperto la porta.
Lui
era alto e muscoloso. Scuro di capelli, aveva gli occhi di ghiaccio e
una voce calda e pastosa.
Salutò
Carlisle cordialmente e si mise a chiacchierare con lui come se
fossero vecchi amici, come se io non fossi presente.
Mi
guardavo intorno stupito e perplesso.
Era
chiaramente uno studio medico, lo si capiva dall'odore di
disinfettante, dal lettino posato su un lato, dalla grossa e pomposa
scrivania in fondo alla stanza.
Lui
vestito in maglione portava addosso un camice azzurro aperto sul
davanti e sembrava del tutto disinteressato a me mentre chiacchierava
con mio padre dei vecchi tempi e di sua moglie.
Ero
perplesso.
Poi
all'improvviso si girò e mi sorrise “E' lui il tuo ragazzo?”
chiese sorridendomi cordiale.
“Si.
E' lui. Puoi aiutarlo?” rispose mio padre, la voce all'improvviso
diventata turbata e preoccupata.
Lui
annui. E si avvicinò.
“Come
ti chiami?” mi chiese gioviale rivolgendosi direttamente per la
prima volta a me.
“Edward”
risposi titubante guardando Carlisle in cerca di appoggio.
“Bene.
E' un bel nome. Anche mio fratello si chiama così” mi disse
allungando la mano per farmi una carezza sulla spalla.
Mi
scostai di scatto, impaurito, come facevo regolarmente con tutti gli
estranei.
Lui
sospirò e mi sorrise “Ascolta Edward. Lo sai perché sei qui?”
mi chiese gentile.
Mi
voltai verso Carlisle in una muta richiesta di aiuto.
Lui
lo notò e senza levarmi gli occhi di dosso disse autoritario
“Carlisle, per favore, aspettaci fuori. C'è una saletta di attesa
sulla tua destra.”.
Vidi
mio padre girarsi e avviarsi verso la porta a testa bassa come se
tutto il peso del mondo fosse ricaduto sulle sue spalle e lo chiamai
agitato. Non volevo rimanere solo con quell'uomo, mi metteva paura.
Non
ero mai più stato da solo con uno sconosciuto da quel maledetto
giorno.
“Edward.
Per favore. In tutti questi anni non ti ho mai chiesto nulla. Adesso
lo faccio. Fidati di lui è un amico e ti aiuterà” mi spiegò lui
sorridendomi appena.
Poi
aprii la porta e senza voltarsi o aspettare una mia risposta uscì,
lasciandomi solo con i miei timori.
Danny
lo seguì, chiuse a chiave la porta, e si mise la chiave in tasca.
Ero
in trappola.
Iniziai
ad ansimare spaventato e arretrai il più lontano possibile da lui
appoggiandomi ad una parete, come un animale in trappola.
Lui
in piedi, distante da me iniziò a mettere in ordine uno scaffale
dandomi le spalle indifferente, come se non ci fossi.
Lo
scrutavo preoccupato, senza perdere di vista ogni suo movimento e,
visto che non mi considerava, che si comportava come se non fossi
presente, piano piano mi rilassai. Il mio respiro ritornò
lentamente regolare mentre smettevo di tremare come un pulcino
bagnato.
Lui
aspettò tranquillamente, apparentemente disinteressato a me, poi
sempre senza avvicinarsi, si girò, mi guardò con i suoi occhi di
ghiaccio, e mi parlò deciso e lentamente in modo che capissi tutto.
“Edward
ascolta. Tuo padre mi ha detto che hai dei problemi con il sesso.
Mi
ha telefonato dalla spiaggia e mi ha raccontato tutto. Ciò che ti è
successo e ciò che hai combinato stasera. Mi ha chiesto aiuto ed io
gli ho detto di portarti qua. Io sono un medico specialista e lui
vorrebbe che ti visitassi. Posso?” mi chiese alla fine.
Sgranai
gli occhi spaventato.
“Non
ti farò del male” si affrettò ad aggiungere “Ma devi
collaborare. Non vuoi scoprire se hai ragione?” mi chiese
addolcendo la voce.
Ecco
perché papà mi aveva portato lì senza darmi spiegazioni, voleva
farmi visitare e aveva paura di un mio rifiuto. Ma era una cosa
assurda, sapevo fin troppo bene di avere ragione, non ero un vero
uomo.
“Cosa...
cosa devo fare?” gli chiesi titubante e spaventato, mentre
risentivo le parole accorate di mio padre. Mi ero ripromesso di
ubbidirgli e non volevo deluderlo ancora.
“Vorrei
che ti metessi in maglietta e levassi i pantaloni e i boxer. Poi o
ti sdrai sul lettino o resti in piedi e ti appoggi alla parete. Come
ti senti più a tuo agio” mi disse sorridendomi. “Devo toccarti
Edward, devo controllare il tuo apparato genitale” mi spiegò
dolcemente.
Ingoiai
a vuoto spaventato, la gola improvvisamente secca, il cuore che
batteva furiosamente. L'ultimo sconosciuto che mi aveva toccato i genitali era
stato il mio aguzzino. Avevo paura ma volevo ubbidire, dovevo farmi
forza e non deludere Carlisle.
“Forza
non ti farò del male, tuo padre è lì fuori che ti aspetta. Sono un
medico non un pericolo per te.” mi disse e la sua voce era dolce e
pacata, quasi un sussurro, sembrava parlasse a un bimbo piccolo.
Ubbidiente,
con l'istinto che mi gridava di fuggire lontano, ma determinato ad
ubbidire, mi spogliai cercando di non tremare e mi appoggiai alla
parete. Non sarei mai riuscito a sdraiarmi.
Non
potevo deludere Carlisle non dopo quello che avevo combinato nella
giornata. Forza Edward, mi dissi fatti coraggio. Papà
non avrebbe mai permesso a qualcuno di farmi male, cercai di auto
convincermi.
“Bene,
bravo” disse pacatamente avvicinandosi lentamente stando attendo a
non fare gesti bruschi per non agitarmi maggiormente.
Si
portò davanti a me e si mise dei guanti di lattice “Adesso non
guardare in basso, Edward. Guardami negli occhi e concentrati sulla
respirazione. Forza segui il ritmo uno...due...uno... due”
Ubbidi
ma iniziai a tremare violentemente mentre sentivo la sua mano
posarsi sui miei testicoli “... uno... due... uno... due... respira
Edward” mi ripeteva in continuazione come una cantilena.
“Bravo
così continua... uno... due..” diceva “No. Non chiudere gli
occhi, guarda nei miei. Concentrati sulla respirazione. Non ti
faccio male... guardami non abbassare gli occhi, non ti
preoccupare... va tutto bene. Non ti faccio nulla di male, non aver
paura” disse mentre con una mano mi teneva indietro la testa e
l'altra scivolava sul pene e sui testicoli, toccando e tastando.
Poi
all'improvviso la sua mano scivolò dentro di me. M'irrigidì e mi
morsi le labbra per non gridare mentre con le mani mi afferrai al suo
braccio in preda al panico. “Fermo. Non ti agitare. Stai
tranquillo. Ho quasi finito” mi disse poi dopo pochissimi minuti o
forse secondi che mi sembrarono interminabili si scostò “Sei
stato bravissimo. Non ci speravo che ti facessi visitare.” mi
sorrise arretrando e buttando i guanti nel cestino della
spazzatura, lasciandomi tremante lì in piedi.
Lo
guardavo cercando di respirare mentre sentivo il mio cuore battere
all'impazzata come se mi dovesse uscire dal petto mentre la vista si
faceva opaca e confusa.
“Siediti
sul lettino” mi ordinò indicandomelo “prendi fiato e rilassati.
Non è il caso di svenire. Non preoccuparti... va tutto bene... io
mi siedo qua. Distante da te. E non ti tocco più.” disse sedendosi
sulla scrivania a un metro circa da me e incrociando le braccia sul
petto con fare rilassato.
Ubbidii
imbarazzatissimo all'idea di essere ancora nudo davanti a lui e mi
tirai giù la maglietta il più possibile cercando di coprirmi i
genitali. Tremavo e avevo la nausea ma cercai di calmarmi, lui adesso
era distante non più un pericolo per me.
Rimase
in silenzio alcuni minuti dandomi il tempo di calmare il cuore, di
cercare di riprendere il controllo del mio corpo fino a che la sua
voce ruppe il silenzio.
“Edward.
Adesso ti farò delle domande imbarazzanti ma mi devi rispondere
sinceramente.” mi disse dolcemente parlando piano come se facessi
fatica a capire. E aveva ragione. Ero ancora completamente in
palla, stordito e sull'orlo di una crisi di panico.
“Quanti
anni hai?” mi chiese poi a bruciapelo con un sorriso.
Alzai
la testa e lo guardai stupito. Non era per niente imbarazzante anzi
era una domanda sciocca, banale, quasi stupida.
Lo
guardai stupito cercando di capire dove volesse arrivare, cosa
volesse ottenere “Sedici” risposi titubante e diffidente.
“E'
vero che hai una gemella?” riprese cordiale e sempre sorridente.
“Si.”
risposi ancora più frastornato.
Iniziò
poi a farmi domande sul baseball e sui miei studi. Non capivo cosa
volesse ottenere, il perché mi chiedesse quelle cose, a cosa gli
serviva sapere chi era il miglior battitore per me?
Lui
sempre con le mani incrociate sul petto, seduto distante e con un
sorriso sul volto, chiacchierava come se fossimo vecchi amici.
Parlava di cose comuni, mi chiedeva dei miei interessi, mi raccontava
aneddoti e faceva battute alle quali ridacchiava contento. Io lo
stavo a sentire e partecipavo all'inizio diffidente poi sempre più
rilassato mentre mi accorgevo che non c'era nulla da aver paura. E
piano piano, il mio respiro si regolarizzò, smisi di tremare e
iniziai a rilassarmi un pochetto distraendomi dai reali motivi per i
quali ero lì.
Poi
all'improvviso, a bruciapelo, mi chiese “E' vero che il pene non
ti viene mai duro?”
la
sua voce era normale come quando parlava dell'ultima partita
trasmessa in televisione ma io mi sentii mancare.
“Dai
rispondimi Edward” mi riprese fissandomi con gli occhi di ghiaccio
“Si”
mormorai diventando rosso dall'imbarazzo e dalla vergogna.
“Neanche
quando vedi una bella ragazza?” mi chiese a bruciapelo.
Scossi
la testa. Avrei voluto, quanto avrei voluto. Era quello chi mi
impediva di avvicinarmi a loro, il sapere che non funzionava. Avevo
visto il rigonfiamento nei pantaloni di Emmett o Jasper quando
baciavano o facevano le carezze alle ragazze prima e alle mie sorelle
dopo. Succedeva persino a Carlisle, che non era più un ragazzo,
quando la mamma lo baciava.
Ma
a me, mai. Lui non si alzava mai.
“Neanche
se è in minigonna?? O se è in costume? Neanche vedendo qualche
scopata nei film?” insistette
“Noooo!!”
gridai scoppiando a piangere e ripiombando velocemente nel mio
incubo e nella mia vergogna “Mai, non riesco, lui non reagisce. Io
non sono un uomo, lui l'ha detto. Lui mi ha detto che sono buono solo
per essere scopato. Lui mi ha scelto per questo.” gridai saltando
in piedi per scappare in piena crisi di panico.
Scattò
velocissimo e mi afferrò forte per un braccio “Siediti” m'intimò
“Non si scappa e poi chiunque te l'abbia detto ti ha mentito. Mi
hai capito? Ti ha mentito!! Anche se tu fossi un omosessuale, il pene
ti si alza lo stesso, magari vedendo un uomo ma reagirebbe comunque”
mi disse gelido.
“Si
alza quando vedi un ragazzo spogliato? Ne avrai visti a scuola”
continuò tenendomi sempre stretto e fissandomi attentamente.
“No.
Certo che no. Li ho visti, li ho visti ma ...” risposi schifato con
le lacrime che silenziose continuavano a scendere. Ma come facevo a
spiegargli che mi facevano paura?? Che ogni volta che vedevo un
ragazzo tirarsi giù i pantaloni iniziavo a tremare dalla paura ed
ero costretto a nascondermi?
Lui
si mise a ridacchiare lasciandomi andare mentre mi lanciava un
pacchetto di fazzoletti di carta posato sulla sua scrivania
“Dalla
tua reazione decisamente non lo sei” riprese sorridente poi la sua
voce tornò seria e decisa.
“Ti
sei mai toccato Edward? Ti sei mai masturbato?” mi chiese
lasciandomi senza fiato.
“No”
mormorai piano. A che serviva? Sapevo che sarebbe rimasto inerte
tra le mie mani e la vergogna era troppa anche solo per provare.
“Non
hai mai sentito la voglia di accarezzarti, di provare piacere?”
continuò insensibile al mio tormento e freddo come il ghiaccio.
“Io...
io... non servirebbe a nulla” gli confessai senza più riuscire a
trattenere altre lacrime di vergogna.
“Ti
sei mai trovato bagnato? Hai mai bagnato le mutande?” mi chiese
poi.
Se
possibile divenni ancora più rosso, perdevo del liquido ogni tanto.
Le mutande si bagnavano spesso senza che lo volessi. Annui piano,
incapace di rispondergli, solo con la voglia di scappare il più
lontano possibile da lì e dalla mia vergogna.
Ero
disperato, non capivo che cosa volesse da me. Sembrava che il suo
unico scopo fosse soltanto umiliarmi. Ma non ce n'era bisogno, mi
sarei volentieri buttato dalla finestra, se non avesse avuto le
inferiate e forse era proprio per questo che erano state montate.
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