Capitolo
83 La vigilia di Natale
Edward
Era
la Vigilia di Natale e quella mattina finalmente avevo avuto il
permesso di uscire dall'Ospedale.
Insieme
a papà che aveva ottenuto qualche giorno di ferie eravamo sulla via
del ritorno.
Ero
felice ma anche teso e preoccupato.
Passata
l'euforia del momento, i dubbi erano tornati ad assalirmi.
Tornare
a casa voleva dire affrontare i miei incubi, affrontare tutto il
castello di silenzi costruito in quegli anni.
Gli
avvenimenti si erano succeduti talmente veloci che praticamente non
avevo più affrontato i miei fantasmi e i miei familiari dal giorno
in cui avevo confessato loro i miei problemi.
Oh,
certamente ci eravamo visti in ospedale, durante l'orario di
ricevimento erano venuti tutti sempre e avevo scherzato e riso, ma
ora sarebbe stato diverso.
Adesso
mi aspettava la vita vera e soprattutto speravo mi aspettasse Bella.
Era
venuta anche lei in ospedale a trovarmi ma c'era sempre qualcuno
della mia famiglia e più di qualche sorriso non avevamo potuto
scambiarci.
Ero
nervoso e teso come una corda di violino e quando mi trovai davanti
alla porta di casa chiusa per un attimo ebbi la tentazione di fuggire
lontano.
Lo
avevo fatto tante volte di scappare, che ne avevo perso il conto, ma
adesso sapevo di non poter più permettermelo.
Ero
fermo, immobile a fissarla, a fissare quella che mi sembrava una
barriera invalicabile.
Papà
stava tirando fuori dal bagagliaio la valigia contenente tutto ciò
che avevo con me in ospedale e quando mi vide fermo e rigido mi posò
un braccio sulla spalle stringendomi a se.
“Non
aver paura Edward. Quella porta è solo l'ultima barriera da
abbattere, l'unica cosa che ti separa dalla vita che avresti dovuto
vivere fin da subito, l'ultimo ostacolo alla tua felicità” mi
disse guardandomi con gli occhi colmi di speranza.
Feci
un passo e mi fermai. I fiocchi di neve, che avevano iniziato a
scendere quella mattina e che avevano spezzato il clima mite di
questi ultimi giorni di Dicembre, cadevano radi e leggiadri sui pochi
metri che mi dividevano da casa rendendo quella distesa bianca e
immacolata, lunga e pericolosa ai miei occhi e soprattutto al mio
cuore.
Tenevo
Tigro stretto al petto, mi stavo ancora una volta attaccando a lui,
cercavo di trovare il coraggio per affrontare quello che al mio
cervello sembrava un baratro profondo.
E
poi...
Poi
la porta si aprì e mia mamma ne uscì sorridente seguita dagli
altri.
Dalla
porta lasciata aperta s'intravedeva il chiaro del caminetto che
allegro stava rischiarando la stanza con le sue fiamme calde e
conosciute. Sullo sfondo il grossissimo albero di Natale pieno di
palline colorate proprio come quelle che aveva desiderato a lungo la
mia mamma e sotto tantissimi pacchi e pacchetti.
Per
un attimo mi sentii perso. Erano tutti lì fuori ad accogliermi,
Jasper ed Emmett avevano un buffissimo cappellino colorato in testa e
Rosalie la testa piena di coriandoli colorati.
La
mia gemella con un cerchietto con sopra due orecchie d'alce mi
guardava con gli occhi adoranti come se non mi avesse mai visto,
mentre le braccia calde e conosciute di Esme mi avvolgevano
sciogliendo il ghiaccio che fino a poco prima ricopriva il mio cuore.
“Bentornato
Edward. Bentornato figliolo. Vieni c'è un Natale da festeggiare”
mi disse dandomi un bacino sulla guancia.
Spinto
da mio padre che non aveva mollato le mie spalle e con mia madre a
darmi la mano, circondato dai miei fratelli che sprizzavano allegria
e colore varcai la soglia di casa.
Mi
sentivo strano, emozionato e avevo una voglia matta di piangere e
lavare via le mie paure.
Ma
mi sforzai di non farlo avevo paura che non capissero, che non
comprendessero che sarebbero state lacrime di gioia.
Mi
guardai intorno. Tutto era addobbato in maniera perfetta, la tavola
già imbandita per il pranzo di Natale e... e in fondo alla sala in
piedi in un angolo Bella mi stava aspettando con le guance rosse e
gli occhi velati da un velo di pianto che cercava di nascondere
proprio come me.
Avanzai
piano e mi abbracciai i miei fratelli che uno per volta vennero a
darmi il benvenuto.
Tra
pacche sulle spalle, stette di mano, il calore del loro affetto
rischiò di farmi crollare.
Ultima
ma non ultima nel mio cuore, Alice mi strinse forte a se. “Bentornato
Edward. Benvenuto a casa fratellino” mi disse con la voce rotta
dall'emozione. Poi si staccò, si asciugò una lacrima sfuggita dagli
occhi e mi guardò raggiante “Vai da Bella.” mi mormorò
facendomi l'occhietto.
Scoppiai
a ridere e le strappai le orecchie da alce dalla testa “Ma non ti
vergogni alla tua età?” le dissi tirandole a Jasper fra le risate
generali della famiglia.
Per
fortuna iniziarono subito a battibeccarsi fra di loro, con Alice e
Jasper che giocavano a rincorrersi neanche fossero bambini piccoli.
Mio
padre e mia madre sparirono in cucina a preparare gli ultimi dettagli
ed io ne approfittai per avvicinarmi a Bella sperando di passare
inosservato grazie al diversivo creato.
Ero
nuovamente teso e nervoso. Lei mi aspettava in piedi mordicchiandosi
le labbra, nervosa a sua volta.
Quando
le fui a pochi passi cercai i suoi occhi. Non sapevo come
comportarmi, non avevo idea di che dirle.
Non
avevo mai avuto una ragazza e neanche qualcosa di lontanamente
simile. Non sapevo cosa bisognasse dire o fare, ma ero certo che
toccasse a me rompere quel silenzio imbarazzato.
Lei
mi guardò con gli occhi che brillavano di gioia e poi... poi si
buttò fra le mie braccia spezzando il muro che la mia insicurezza
stava nuovamente costruendo per tenerla lontana.
Accoglierla
contro il mio corpo fu una sensazione meravigliosa e strana nel
contempo.
Ero
abituato a cercare rifugio nelle braccia degli altri, a cercare
riparo non accogliere le altre persone.
Abituato
ad avere paura, abituato a scappare per la prima volta mi trovai a
proteggere e consolare.
Fino
a pochi giorni prima sarei scappato di fronte alla sua irruenza, al
contatto con il suo corpo morbido e caldo, adesso invece abbassai la
testa posando la mia guancia sui suoi capelli, la strinsi forte e
chiusi gli occhi aspirando il suo odore.
Sapeva
di buono ma più ancora sapeva d'amore.
Restammo
in silenzio abbracciati in un angolo a lungo senza dire una parola,
senza avere il coraggio di staccarci, beandoci di quel contatto
fisico che a lungo avevamo entrambi sognato e a lungo avevo rifiutato
per paura.
Ma
non volevo pensare a quello, non volevo iniziare a preoccuparmi di
come sarebbero andate le cose, volevo solo sentirla vicino, volevo
solo sentirmi amato e cosciente di poterla ricambiare come un vero
ragazzo.
La
mia famiglia ci lasciò fare. Nessuno venne a interrompere quel
momento magico, solo lo sguardo dei miei genitori mi fece capire che
erano emozionati per me. Solo la fuga di mia madre in cucina con il
grembiule premuto sugli occhi mi fece capire quanto a lungo anche
loro avevano sperato di poter vedere quella scena.
A
rompere il momento magico fu la porta di casa. Con un leggero
scricchiolio si aprii lasciando entrare Charlie.
Come
al solito era vestito sportivo con il cappellino da baseball in
testa e come al solito fu accolto con baci e abbracci dalla mia
famiglia.
Bella
si stacco da me appena con un sorriso incerto e preoccupato mentre le
sue guance diventavano rosse proprio come le mie.
Charlie
salutò tutti, si guardò intorno e ci vide vicini. I suoi occhi
attenti da poliziotto misero subito a fuoco le nostre espressioni
imbarazzate, i nostri occhi lucidi e le mani rimaste attorcigliate le
une con le altre.
Fece
un sospiro e ci sorrise ”Bentornato Edward.” mi disse, poi
scantonò velocemente in cucina. Sembrava fosse fuggito!
Per
un attimo non capii. Non sembrava arrabbiato per averci visti vicini
ma allora perché si era subito allontanato?
Fu
con una risatina che finalmente ci arrivai. Era la forza
dell'abitudine. Era tanto abituato ad essere trattato freddamente da
me, tanto abituato a dovermi girare al largo, a sapere che in qualche
modo lo temevo, che stava continuando ad evitarmi.
Mi
chinai verso Bella e le posai un bacetto timido sui capelli. Mi
sentivo a disagio per la situazione oltre che osservato dai miei
fratelli.
“Devo
fare una cosa” le mormorai lasciandole poi le mani “Torno subito”
aggiunsi poi sorridendole.
Cercando
di mostrarmi tranquillo e disinvolto mi avviai alla cucina mettendo
dentro la testa.
Charlie
si stava bevendo la prima birra della giornata mentre mio padre
abbracciava mia madre che stava cercando di trattenere inutilmente le
lacrime.
Quando
mi videro mi fissarono tutti e tre come se li avessi trovati a
rubare la marmellata.
Non
dissi nulla solo andai ad abbracciare mia mamma “Ti voglio bene
mamma” le dissi lasciando che mi stringesse a se ancora una volta.
Mi
faceva effetto. Lei aveva sempre combattuto, si era sempre dimostrata
forte e adesso finalmente si era concessa di rilassarsi.
Mio
padre mi sorrise riconoscente e mi guardò negli occhi. Non so come
ma riusciva sempre a capire quello che mi frullava per la testa e
dopo avermi fatto un cenno d'assenso prese mia madre, il vassoio con
gli antipasti ed usci nella sala.
Rimanemmo
insieme io e Charlie. Per un attimo abbassai la testa, imbarazzato
poi mi feci coraggio e cercai i suoi occhi.
Anche
lui era nervoso. Non sapeva cosa dirmi ma io invece lo sapevo
perfettamente.
“Charlie
volevo ringraziarti e scusarmi” iniziai timidamente. Lui strabuzzò
gli occhi e mi sorrise facendo segno di no con la testa.
“E
invece si. Hai sempre cercato di aiutarmi ed io ti ho ripagato con la
diffidenza. Mi spiace” soffiai fuori mordendomi le labbra.
“Edward.
Non dire stupidate. Hai sempre avuto paura della divisa non di me.
Ti sei fidato nella foresta. Ricordi?” mi chiese in maniera
retorica. “Non c'è nulla da perdonare. Almeno fino ad adesso”
riprese sorridendo e facendomi l'occhiolino.
Divenni
rosso. Era chiaro che stava alludendo a Bella.
“Ascolta
Edward. So che sei un bravo ragazzo e che le vuoi bene. Cerca di
... Insomma io... Bhe hai capito vero?” finii la frase arrossendo
imbarazzato.
Per
un attimo rimasi interdetto cercando di capire poi diventando ancora
più rosso gli risposi “L'amo Zio Charlie. E ti prometto che non
le farò mai del male” conclusi abbassando gli occhi intimorito.
“Lo
so ragazzo. Lo so… Altrimenti non ti permetterei di starle vicino”
mi rispose, poi mi guardò storto “E' la prima volta che mi chiami
Zio ” constatò tirandosi un baffo con un gran sorriso “E
sono felice, ma per favore aspetta ancora un po' prima di chiamarmi
papà” aggiunse con una risata imbarazzata. Poi repentino si
avvicinò e mi strinse a se, abbattendo l'ultima barriera che ci
divideva.
“Sono
felice per te Edward. Immensamente felice. ” aggiunse mentre la
voce di mia madre ci reclamava a mangiare.
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